Indipendenza intellettuale ed economica. Sono questi, a detta di Fabrizio Spagnoli, presidente del Coa di Livorno, i pilastri della professione forense che non devono mai essere minati. «Per l’esercizio della sua funzione di garanzia e tutela dei diritti fondamentali del cittadino e per la sua libertà di azione – dice al Dubbio l’avvocato dovrebbe poter svolgere la sua professione in una condizione di assoluta indipendenza, non solo intellettuale, ma anche economica, in primo luogo dal suo cliente. I provvedimenti specifici presi nel settore giustizia hanno inciso nell’ultimo decennio sulla nostra professione e sulla sua redditività. Non è un problema da poco. Se ne parla da tempo e, secondo me, mai abbastanza».

L’Ordine di Livorno conta 885 iscritti. L’avvocatura del capoluogo toscano ha avuto eminenti esponenti. Tra questi va ricordata Piera Marchetti, prima avvocata della città, inserita nel 1945 nell'albo dei procuratori legali di Livorno.

Ha iniziato ad esercitare la professione legale nel 1949 ed è stata la prima consigliera del Coa, rimanendo iscritta per mezzo secolo all'albo. Ugo Bassano è stato invece uno studioso di diritto internazionale e di diritto processuale civile. Con l’emanazione delle leggi razziali gli fu impedito di esercitare la professione. È stato presidente della Società porto industriale e per molti anni si dedicò alla politica, ricoprendo la carica di assessore al Contenzioso del Comune Livorno. A Bassano è dedicata un’aula del Tribunale penale di Livorno. Un altro avvocato molto legato a Livorno è stato Enrico Vincenzini, uno più apprezzati studiosi di diritto marittimo e commerciale internazionale.

Il confronto tra iscrizioni e cancellazioni nel Coa livornese segna una prevalenza delle seconde. «Dall’inizio dell’anno – spiega il presidente Spagnoli abbiamo iscritto dieci nuovi avvocati e ne abbiamo cancellati sedici. È la conferma di un trend decennale che vede le cancellazioni superare le nuove iscrizioni. Per quanto concerne la situazione del nostro Tribunale nel settore civile non abbiamo pendenti cause ultra triennali e anche nel settore penale non ci sono criticità rilevanti da segnalare.

In generale il Tribunale di Livorno, distribuito su due sedi, una per il civile e una per il penale, è organizzato bene con carenze di organico di personale amministrativo e di cancelleria fisiologiche e, tutto sommato, gestibili. Per quanto riguarda l’edilizia giudiziaria recentemente i due palazzi di giustizia sono stati oggetto di importanti investimenti con opere di ristrutturazione previste per alcuni milioni di euro.

A Livorno, ritengo anche per merito dell’avvocatura e del lavoro di tutti i Consigli, che nel tempo si sono succeduti, si è determinata una condizione che favorisce l’esercizio della nostra professione».

Quanto succede a Livorno non è casuale. Deriva, come sottolinea il presidente del Coa, da un dialogo costruttivo con la magistratura locale «portato avanti costantemente negli anni sulla base di rapporti fondati in primo luogo sul reciproco rispetto del ruolo e della diversità di funzione e sulla lealtà dei rapporti istituzionali». «Lavoro che – aggiunge - più che mai dovrà, in questa fase, proseguire e progredire».

Rispetto all’aumento delle cancellazioni dall’albo, l’avvocato Spagnoli teme che la tendenza sia destinata a confermarsi in futuro. «I dati delle iscrizioni alla facoltà di giurisprudenza - aggiunge -, al registro dei praticanti e all’albo degli avvocati sono in drastica riduzione già da un decennio.

Ritengo che sia un trend non negativo se letto in un contesto in cui, in una dinamica corretta del mercato delle professioni intellettuali, l’avvocatura diventi uno sbocco cercato e voluto dal giovane alla fine della sua carriera universitaria.

La professione e l’esame di abilitazione non devono essere più visti come una scelta di ripiego o, peggio, come una sorta di parcheggio per manodopera intellettuale. Il tutto in attesa di tempi migliori».

Il presidente Spagnoli evidenzia l’esigenza di una compattezza sempre maggiore che l’avvocatura dovrebbe ricercare al suo interno: «Se vinceremo la battaglia culturale sul nostro ruolo e sulla nostra funzione, la nostra professione tornerà ad essere appetibile e cercata dai giovani e dalle giovani. Indubbiamente inciderà in questo contesto la riapertura delle maglie dei concorsi nelle pubbliche amministrazioni e dell’aumento delle assunzioni di laureati nel settore privato.

Penso che avremo meno toghe, ma più motivate».

Dunque, al bando divisioni e piagnistei, considerato che fare l’avvocato è diventato sempre più difficile. Il tema dell’indipendenza intellettuale ed economica ricorre nelle riflessioni di Spagnoli. «Questa indipendenza – prosegue - è possibile solo in un contesto sociale dove l’importanza del ruolo dell’avvocato è percepita e condivisa. Tale percezione, che ho conosciuto all’inizio della mia professione, si è nel corso degli anni affievolita, nonostante l’impegno costante dell’avvocatura e delle sue istituzioni per alimentarla in ogni contesto. È passato viceversa il concetto, soprattutto nella clientela cosiddetta forte, enti pubblici, grosse società, banche ed assicurazioni, che ha degradato la tutela legale a un mero costo, se possibile da eliminare o, in ogni caso, da contenere alimentando al ribasso una concorrenza tra gli operatori del settore». In questo contesto ha fatto da sponda una campagna mediatica «purtroppo ben orchestrata», secondo Spagnoli, «che ha cercato di traslare sull’avvocato l’esclusiva responsabilità della crisi della giustizia italiana con l’equazione eccessivo il loro numero, eccessivo il numero di cause e quindi lentezza della macchina giudiziaria».

«Si tratta – conclude il presidente degli avvocati di Livorno - di una semplificazione che ha prodotto una serie di provvedimenti certamente non favorevoli, a partire dall’aumento del costo dei contributi unificati, con il governo Monti, che ha determinato una forte elisione dei nostri redditi. Non dimentichiamoci neppure la riforma della geografia giudiziaria. Per tantissimi colleghi, soprattutto nelle province come la nostra, ha modificato radicalmente il modo di fare la professione».