«In questo momento abbiamo una fase di cambio della leadership europea. Angela Merkel, protagonista e leader indiscussa dell’Ue negli ultimi 15 anni, sta uscendo di scena per sua scelta. Quello che noi possiamo fare come Italia è cogliere questa opportunità per colmare questo vuoto di leadership con il nostro governo e portare l’Unione europea a non stare più con un piede in due scarpe sulla politica estera, sulla difesa ma ragionare come Europa». Luigi Di Maio evita in un primo momento di fare il nome di Mario Draghi in Tv, a Mezz'ora in più, ma è chiaro che il ministro degli Esteri pensi al presidente del Consiglio come futuro leader europeo. L'ex capo del M5S, del resto, è uno dei maggiori estimatori del premier, tanto da spingere commentatori e analisti a iscrivere al "partito di Draghi" più che a quello di Giuseppe Conte. «In un contesto con attori geostrategici come Russia, Cina e Usa è logico che dobbiamo ragionare come Europa», dice Di Maio ostentando tutta la sua cultura istituzionale forgiata alla "scuola" della Farnesina. Il ragionamento sulla centralità dell'Italia in futuro è semplice: «C’è una grande aspettativa verso l’Italia», spiega l'esponente pentastellato. «Facciamo meglio di Francia e Germania e i dati economici producono grandi aspettative che non possiamo deludere, e credo che Draghi non deluderà perché in questo momento l’Italia ha tanto da dire sui tavoli europei», visto che anche la cancelliera tedesca Angela Merkel «esce di scena dalla Germania». Ma per portare a compimento il progetto di trasformare l'Italia in guida d'Europa servirà del tempo. Dunque Draghi dovrebbe rimanere anche dopo il 2023? «Penso semplicemente che il dibattito sia singolare perché non prevede la volontà dei diretti interessati, e in particolare di Draghi», risponde Di Maio. «Dobbiamo lavorare per portare a conclusione la campagna vaccinale e chiudere il Pnrr. Questo governo è nato per questo dobbiamo fare le riforme per spendere quei soldi, dobbiamo essere concentrati su questo, i retroscena li lascio a chi passa le veline ai retroscenisti». Infine un po' di equilibrismo sul confronto tra il presidente del Consiglio e il suo predecessore: «Draghi e Conte sono due presidenti del Consiglio diversi e ognuno ha avuto una sua storia nei contesti internazionali. Conte è stato protagonista del negoziato sul Recovery fund che ci ha portato ad avere 230 miliardi, Draghi ha la sua autorevolezza che gli viene da una storia di incarichi internazionali, tra cui quello alla Bce». Come dire: se dobbiamo parlare di curriculum la sfida è persa in partenza.