di Simona Giannetti, avvocato e militante Radicale

Esercizio di un diritto o propaganda di regime? Dalle pagine del Corriere della Sera di ieri scopriamo che un imputato non può neanche esercitare il proprio diritto di firmare una proposta di referendum. Peggio ancora se si chiama Carminati o Buzzi ed è stato condannato per il noto processo “Mafia Capitale”; anzi oggi solo “Capitale”, dopo il taglio della Cassazione alle teorie accusatorie della Procura romana. Il motivo del disdegno per la firma della proposta dei quesiti referendari sembrerebbe semplice: essere un condannato. L’articolo inizia cosi: “Roma, Forse vi siete persi una storia...”. La storia è quella di un gazebo per la raccolta delle firme del referendum “Giustizia giusta” - promosso dal Partito Radicale con la Lega -, organizzato dal quotidiano Il Riformista e dal suo direttore Piero Sansonetti; non solo, al gazebo si presentano a firmare Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Fine della storia. E invece no, perché sul Corriere si parla di due imputati descritti con il loro passato anche lontano, che stavolta non sono coinvolti in un processo ma in un “sit- in referendario”. Non solo, la storia prevede anche “il divo”: Luca Palamara. Ora, al netto della descrizione di una giornata romana di settembre con sole e gabbiani a pochi passi da Montecitorio, sarebbe stato interessante precisare, dalle pagine di un autorevole quotidiano come il Corriere, che l’articolo75 della Costituzione riserva il diritto di firma ad ogni elettore, purché non sia un condannato definitivo. Ebbene, purtroppo per il Corriere i signori Buzzi e Carminati sono solo degli elettori, molto prima di essere imputati.

Ma la notizia, oltre alla minuziosa descrizione dei loro abiti e del loro arrivo al gazebo, è che gli stessi avrebbero anche la pretesa di cambiare la Giustizia. Persa sembra essere stata l’occasione di ricordare che il signor Carminati – precisamente descritto come quello con il casco – in seno al processo del “Mondo di mezzo” lo avevano anche mandato in regime di “carcere duro”, come si chiama in gergo, cioè in regime ex articolo 41 bis, salvo poi dire che il suo reato non era mafia: a quanto pare poco conta, nella narrazione della vita dell’elettore in questione, questo disguido sulla sua libertà personale e dignità, evidentemente lontano dall’obiettivo della divulgazione.

Eppure, sarebbe stata buona l’occasione per ricordare la riduzione dell’abuso della custodia cautelare in carcere, che poi è anche un quesito referendario, e magari dedicargli uno spunto di riflessione, soprattutto là dove ci sono milioni di euro spesi dallo Stato italiano per risarcire ogni anno individui incarcerati ingiustamente. In effetti trascorrere una carcerazione preventiva in regime di 41 bis non dovuto potrebbe anche essere un buon motivo per decidere di andare a firmare un referendum per la giustizia giusta: bontà sua, dell’elettore, accidentalmente imputato, che decida di farlo.

Ma c’è di più. È un peccato che il giornale storico della Milano degli anni di Tangentopoli, che molto poco si è occupato delle attualissime e localissime vicende del Palazzo della Procura da cui uscirono atti segreti con destinazione la tromba delle scale del Csm, abbia altresì dimenticato di cogliere l’occasione di riportare i numeri di questa campagna referendaria, in cui ormai ben oltre 500mila elettori hanno già firmato, perché sia permesso ai cittadini di occuparsi della riforma dell’ordinamento giudiziario e rompere un abbraccio mortale tra politica e magistratura. Forse si poteva cogliere l’occasione per ricordare che in fondo l’ex consigliere del Csm Luca Palamara, anch’egli ampiamente citato come presente al gazebo della raccolta delle firme, altro non sia che un capro espiatorio di ciò che da solo non poteva reggere in piedi a suon di chat e messaggini, oltre che inevitabilmente un testimone di quel Sistema, di cui in questo caso non si è letto molto sulle pagine del giornale in questione.

Dunque, i signori Buzzi e Carminati vorrebbero riformare la giustizia, e tutto questo sembra decisamente un colpo basso per il moralismo di un’Informazione che gioca sul populista disegno secondo cui se sei un imputato non devi esistere, pensare, avere dignità di elettore. Non solo, non si può neanche fare a meno di pensare male, che, come diceva un noto presidente si fa peccato ma spesso ci si azzecca: ad oggi il referendum potrebbe anche essere una realtà. Forse quel sogno di Marco Pannella ed Enzo Tortora, che camminano a braccetto nei volantini dei gazebo della campagna del Partito Radicale, si sta per avverare. Il messaggio non troppo in bottiglia sembra voler alludere all’idea che se firmi per il referendum, o sei un imputato o sei il suo difensore: la propaganda del Sistema continua, forse. Del resto nessuno ha mai creduto che con l’espulsione di Luca Palamara dalla Magistratura sarebbe cambiato qualcosa. Anzi, è anche troppo facile cadere nella tentazione di ricordare Tomasi di Lampedusa: deve cambiare tutto, perché nulla cambi. E allora perché non andare a firmare per arrivare al milione di firme per la giustizia giusta?