«Il voto di fiducia sul ddl civile è francamente probabile: sono d’accordo sulla necessità che su questi temi ci sia un’ampia discussione, ma queste deleghe devono essere chiuse entro la fine dell’anno e incombe la manovra di bilancio». A dirlo al Dubbio è la senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena, relatrice del ddl civile in Commissione Giustizia. Una risposta, la sua, alle obiezioni del Consiglio nazionale forense, che nei giorni scorsi ha criticato la scelta di porre la fiducia sulla riforma, lamentando alcune storture che rischiano di penalizzare il diritto di difesa senza ridurre i tempi del processo, così come richiesto dall’Europa. Il rischio, secondo l’avvocatura, è addirittura che si possano perdere i fondi del Recovery, che poggia per buona parte proprio sulla riforma del processo civile. Ma le scelte del governo, spiega Modena, rispondono a precise linee guida dettate dall’Europa. Così rassicura l’avvocatura: «Le modifiche al rito non hanno niente a che vedere con il vecchio modello del processo societario».

Senatrice, il Cnf ha lamentato la possibilità che la riforma, così com’è pensata, possa tradursi in un boomerang. Il rischio è concreto?

Vorrei partire dalle cose positive: l’avvocatura aveva criticato una serie di cose, come ad esempio l’emendamento all’articolo 14, che prevedeva la lite super-temeraria, poi ritirato dal governo a seguito del lavoro in Commissione Giustizia. Un’altra critica molto importante riguardava la decadenza per il contumace, anche quella eliminata. Rimane sempre il nodo relativo alla formulazione degli atti prima della prima udienza davanti al magistrato. La soluzione che è stata trovata è frutto anche di una serie di riflessioni che partivano dalle critiche mosse dall’avvocatura, che non voleva le decadenze negli atti di primo grado. Siamo partiti dal testo Bonafede, che prevedeva il ricorso al rito del lavoro: il primo passo in avanti è stato il mantenimento dell’atto di citazione da parte della Commissione Luiso. Da qui sono state fatte due formulazioni, quella più penalizzante in termini di decadenze è stata scelta negli emendamenti del governo. Per correggerla sono state fatte riunioni fiume, anche ad agosto, e fu fatta una riformulazione, in un primo momento, degli emendamenti Caliendo-Pellegrini, con i quali venivano eliminate le decadenze agli atti introduttivi, lasciando però aperta la problematica relativa alle memorie successive. Da lì è stata fatta un’ulteriore riformulazione, perché non si riusciva ad immaginare come coniugare l’esigenza posta dal Governo, che era quella che alla prima udienza si arrivasse con le carte tutte in tavola, con l’esigenza dell’avvocatura di non trovarsi senza la possibilità di precisare o modificare domande ed eccezioni proposte e indicare i mezzi di prova. La soluzione di mediazione è stata quella di lasciare come sono la citazione e la comparsa e individuare un tempo intermedio per le memorie istruttorie, con uno scambio tra avvocati in previsione delle udienze, introducendo le decadenze dopo gli atti introduttivi. Una soluzione che rispetta le indicazioni precise contenute nelle linee del Recovery, secondo le quali va riportata alla prima udienza tutta la fase istruttoria, senza diluirla. Noi pensavamo che l’ultima soluzione trovata alla fine potesse essere una mediazione positiva e accettabile. Invece abbiamo ritrovato le barricate anche su questa ipotesi.

Perché “riesumare” il vecchio rito societario?

In realtà il nuovo rito non è uguale a quello societario, molto più complesso e senza la linearità delle memorie ex articolo 183 anticipate rispetto alla prima udienza. Nella normativa noi abbiamo introdotto volontariamente il calendario del processo, che prevede sanzioni per chi non lo rispetta. E a questo aspetto bisognerebbe prestare molta attenzione.

La fase che precede la prima udienza è sottratta al controllo del giudice, col rischio di un allungamento dei tempi in caso di irregolarità. Ma così non si rischia di avere un processo più lungo e meno garantito?

Il controllo, in realtà, non c’è nemmeno adesso, perché il giudice, sulla base delle memorie, prepara un’ordinanza istruttoria. Poi non dimentichiamo che si tratta di principi di delega, quindi tutte queste ipotesi sicuramente troveranno delle individuazioni in sede di decreto legislativo. Noi abbiamo fissato un principio; far discendere da questo l’idea che comunque il processo non funzionerà secondo me è un po’ complicato. Non abbiamo fissato i termini entro i quali vanno fatte le memorie o le risposte e anche per la chiamata di terzi la norma va adeguata ai principi di delega. In poche parole, abbiamo evitato rigidità, per questo sono più possibilista sul fatto che si possano individuare delle soluzioni.

Tra le obiezioni c’è appunto il fatto che tale modello per le cause plurisoggettive rischi di diventare caotico, con sovrapposizioni di termini e una proliferazione di atti e adempimenti. Come si evita tutto ciò?

Tutti sanno che i problemi con le chiamate di terzo sono ineludibili e anche oggi implicano rinvii di sei-otto mesi. La formulazione scelta è volutamente fatta in modo tale da non legare le mani per le soluzioni tecniche da trovare nei decreti legislativi. I problemi non sono stati presi sotto gamba.

Il processo civile così pensato non rischia di essere sommarizzato?

C’è un punto fondamentale: la volontà è quella che il giudice arrivi a questa prima udienza con le idee chiare su che fine farà il processo. Quindi se ritiene che possa essere definito, come già fa oggi per altro, lo manda in decisione, se non lo ritiene dispone l'istruttoria e il calendario. Oppure fa una proposta conciliativa o di mediazione.

Per risolvere i ritardi e le lungaggini non sarebbe stato necessario investire di più sull’organizzazione degli uffici e dei ruoli dei magistrati? Anche perché lo smaltimento dell’arretrato è affidato a figure precarie con contratto triennale con profili non ben definiti.

Su questo siamo tutti d’accordo. I fondi del Recovery verranno utilizzati anche per l’assunzione di 16.500 laureati, ma è prevista anche un’infornata di magistrati. Si sa benissimo che la strada è quella. La Commissione Luiso, d’altronde, è arrivata alla conclusione che il collo di bottiglia è rappresentato dal momento decisionale, perché i magistrati sono troppo pochi. Ma la questione assunzioni riguarda anche la Ragioneria dello Stato e il Csm.

Non sarebbe stata forse meglio adottare la proposta A della Commissione Luiso, che prevedeva la possibilità di andare subito in decisione?

Da questo punto di vista, da parte del ministro, non c’era una disponibilità a concepire la prima udienza come udienza di mero rinvio, come è oggi. Ma non perché si sia impuntata, bensì perché il Recovery è molto chiaro su questo punto e non prevede questa opzione. E non a caso Bonafede era partito con il ricorso “rito lavoro”. Quindi è evidente che se due ministri hanno seguito questa impostazione lo si è fatto sulla base di indicazioni precise. È bene sempre ricordare il punto di partenza per comprendere il punto di arrivo.

L’ipotesi del voto di fiducia sul ddl è stata duramente criticata dal Cnf, secondo cui una tematica del genere non può essere affrontata senza un confronto ampio. Ci saranno passi indietro?

Me ne rendo perfettamente conto, consideri però che la Commissione ha lavorato sulla riforma prima con audizioni dal marzo 2020 e poi sugli emendamenti da giugno 2021, anche d’estate. Capisco quello che dice l’avvocatura e lo rispetto molto, soprattutto da parlamentare, ma queste deleghe devono essere chiuse entro la fine dell’anno e incombe la manovra di bilancio. Non c’è il tempo materiale per chiudere entro il 31.12.2021 con la sessione di bilancio. Ma abbiamo lavorato molto prima e tante modifiche sono state fatte proprio perché si sono mossi il Cnf, l’Ocf, le Camere civili e le audizioni sono state tantissime. Le questioni le abbiamo sviscerate tutte e siamo arrivati fin dove si poteva arrivare, dopodiché c’è un problema di tempistiche. E molto probabilmente questa settimana chiuderemo penale e civile. Credo francamente che il voto di fiducia sia inevitabile.