https://youtu.be/1EMYd329fuE

*Servizio video di Nicola Campagnani e Lorenzo Tardioli, collettivo Lorem Ipsum

«Matera è una lezione sui pregiudizi: la sua storia racconta come cambiando una narrazione si possono cambiare le cose». Così Angela Colonna, responsabile della Cattedra UNESCO in “Paesaggi Culturali del Mediterraneo e comunità di saperi” dell’Università degli Studi della Basilicata, presenta la città di Matera, dove Roberto Sensi l’ha raggiunta in una nuova tappa del tour contro i pregiudizi. A parlare insieme a lei c’è anche la consulente UNESCO Annateresa Rondinella, componente del gruppo di lavoro della stessa cattedra di Colonna.

Matera è ormai sulla bocca di tutti, ma forse non altrettanti conoscono la sua storia. Cos’è Matera oggi e cosa era ieri?

Matera oggi è una città il cui nome è conosciuto nel mondo, soprattutto grazie al battage per la designazione a Capitale Europea della Cultura per il 2019. Oggi Matera è visibile, e questo certamente contribuisce all’idea che ha di sé stessa: una città che può fare del proprio passato una risorsa. E i Sassi di Matera sono la testimonianza di quel passato, di un mondo contadino estinto. Una città ricavata sul versante di una gravina, nascosta alla vista di chi sta sul piano, scavata nel tufo, con un’architettura vernacolare. I Sassi sono testimonianza della capacità di integrare risorse scarse, in un territorio a confine tra due paesaggi, quello della Murgia pietrosa, per l’allevamento ovino, e quello dell’Avanfossa Bradanica per la cerealicoltura, a cui si aggiunge l’economia degli orti urbani; così come l’uso ingegnoso di raccolta dell’acqua piovana, con un complesso sistema di rete idrica e di cisterne, poiché l’acqua è un bene scarso in un territorio carsico, con la Gravina che ha carattere torrentizio. Sono i tratti della città di ieri e i segni del suo antico funzionamento, caduto in disuso con la modernità.

Sono passati diversi anni da quando Togliatti parlò di “vergogna nazionale”.

Nel 1945, mentre l’Italia esce faticosamente dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, Carlo Levi pubblica il suo “Cristo si è fermato ad Eboli”. Così la denuncia di Levi porta Matera al centro dell’attenzione nazionale. La politica italiana inizia a interessarsi alla questione e il leader del partito Comunista Palmiro Togliatti per primo giunge nel capoluogo lucano nel 1948 per guardare con i propri occhi gli ambienti malsani in cui gli abitanti erano costretti a vivere in compagnia delle bestie. I Sassi vengono definiti “Vergogna nazionale”. Dopo Togliatti, nel 1950, è la volta del primo ministro Alcide De Gasperi, successivamente il ministro lucano Emilio Colombo fa un disegno di legge per favorire il risanamento e la soluzione del problema dei Sassi. Nel 1952 lo Stato Italiano, con la “Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi” impone a due terzi degli abitanti il trasferimento nei nuovi rioni. Matera così diventa il caso eclatante, il caso letterario, il caso più famoso di un Sud depresso; e questo ne fa un laboratorio di avanguardia, dove sperimentare un modello di trasformazione della società e della città.

Povertà e isolamento sono state condizioni oggettive di questo territorio, ma credete che su Matera per qualche tempo abbia gravato anche un pregiudizio?

La povertà e la marginalità erano una realtà, ma il pregiudizio è un abito incollato addosso, un destino da cui non si sfugge. Con la nostra Cattedra stiamo lavorando proprio al tema delle narrazioni dei paesaggi e della genealogia delle narrazioni: storicizzare e relativizzare le narrazioni. Ogni narrazione di un luogo è legata solo a un tratto della sua storia, e per cambiare la storia, serve cambiare narrazione.

Nei Sassi, nel 1937, su un totale di 15.250 neonati ne morirono 6.760, nati in condizioni igieniche allarmanti e nella miseria più assoluta. Oggi sono patrimonio mondiale dell’umanità. Come si è arrivati a questo cambiamento?

Tutto è iniziato con un cambio di narrazione: lo hanno fatto alcuni intellettuali, con lo sguardo dall’esterno e una sensibilità empatica. Carlo Levi ribalta il marchio di povertà di quella società contadina nel valore di una civiltà arcaica; Ernesto de Martino eleva la ritualità popolare al livello della cultura greca classica; Rocco Scotellaro è il sindaco dei contadini e il poeta di quel mondo; Pier Paolo Pasolini trova a Matera i luoghi e i volti di un passato ancestrale, per il suo “Vangelo secondo Matteo”. Anche la candidatura UNESCO è stata costruita da un intellettuale, Pietro Laureano. Nel 1993 i Sassi diventano il VI sito in Italia, il primo nel meridione. Matera insegna che cambiando narrazione cambia il destino di un luogo, si libera la sua storia che da marchio può diventare risorsa.

Nel 2019 Matera è stata designata anche capitale europea della cultura, un riscatto atteso da tempo?

Riscatto dalla vergogna è stato un tema usato nella narrazione e in alcuni progetti di Matera 2019, ma il processo era già iniziato molto prima, ad opera degli intellettuali. A questo punto, però, entra in gioco la partecipazione della comunità, che si sente protagonista, in una città che diventa “orgoglio nazionale”.

Oggi Matera è una meta turistica d’eccellenza. In questi casi tuttavia si configura spesso un rischio opposto, quello della gentrificazione e dello svuotamento del tessuto urbano. Come si contrasta questo fenomeno che in Italia in molti casi ha finito per svuotare molti centri dalle persone che li avevano vissuti e curati per anni?

L’aumento esponenziale dell’esposizione mediatica, dell’attenzione delle istituzioni e dei turisti hanno accelerato le trasformazioni. Oggi Matera ha un’idea della propria vocazione: la cultura, la valorizzazione del patrimonio e la produzione creativa. Il rischio da evitare è confondere “l’idea di ciò che la città vuole divenire” con “l’illusione di essere giunta”. Occorre una riflessione profonda, una comprensione di dove andare, un progetto organico e la scaltrezza per evitare gli errori già fatti da altri.

Quante altre Matera esistono ancora nel 2021? Molte sono ancora al Sud e lo Stato dovrebbe occuparsene. Credete sia un tema in cima all’agenda politica? Oppure oggi ci vergogniamo meno?

Oggi le “Aree interne” sono un tema posto all’attenzione dagli ultimi governi. Al Sud, un luogo di cui prenderci cura è Taranto, un posto con una storia ricchissima, ma incastrato in un presente di “povertà di futuro”. È una “vergogna nazionale”, e riconoscerlo sarebbe l’inizio di un cambio di narrazione e di destino, per farne un caso esemplare, come è stata Matera nel dopoguerra. La vergogna può essere un riflettore da accendere su una realtà, per farne un problema nazionale, che solo insieme può essere ribaltato in un “futuro di sostenibilità”.