In politica non c'è posizione più ingrata di quella del "partito di lotta e di governo". Salvo miracolo si finisce di solito per scontentare una parte dell'elettorato perché troppo di governo, l'altra perché troppo poco. Chi sceglie, o come la Lega è costretto, a sfidare quel rodeo deve mettere da parte ogni pretesa di coerenza e rassegnarsi alla scomodissima parte della trottola. È vero sempre e per tutti ma nelle giravolte di Salvini c'è qualcosa in più: un elemento di smarrimento che eleva il danno all'ennesima potenza, una incertezza permanente che sta degenerando in stato confusionale. Vota a favore del Green Pass in sede di Cdm, ma con la riserva di sostenere poi i propri emendamenti in Aula. Vota contro il Green Pass in Commissione, pur sapendo di non poter forzare la mano in Aula salvo irrecuperabile rottura con Draghi. Ritira a sorpresa gli emendamenti per evitare il voto di fiducia. Vota a favore dell'emendamento chiave di FdI, finendo così per fare la figura dell'alleato inaffidabile nella maggioranza ma anche della forza a ruota della rampante Giorgia nel centrodestra, dove la competizione è aperta. Impossibile evitare la sensazione che nell'agire di Matteo Salvini sia salatata ogni logica, smarrita la bussola. In parte, probabilmente, è proprio così. È il destino dei partiti costretti a essere allo stesso tempo "di lotta e di governo", appunto. Salvini non può rompere la maggioranza ma non può rompere neppure con quella parte della propria base che chiede di ruggire e spesso guarda a Giorgia Meloni perché, toni roboanti a parte, Salvini è condannato a pigolare. È però plausibile che invece, almeno in parte, una logica nelle piroette di Salvini ci sia. Il leader della Lega non si muove al buio ma al lume di candela di sondaggi sì. Quella tremolante e fioca luce dice che la Lega è stata superata, sia pur di misura, dal partito di Meloni. Profetizza un futuro di secondo arrivato per quello che sulla carta dovrebbe essere il leader della coalizione. Ma i sondaggi valgono quello che valgono. Salvini, per decidere come muoversi ha bisogno di una visuale più nitida: quella che gli offriranno tra poche settimane le amministrative. In questa tornata il centrodestra aveva due possibilità alternative: giocare per vincere e conquistare le amministrazioni comunali, con in ballo la piazza più importante di tutte, quella di Roma, oppure regalare quasi, salvo miracoli, la vittoria agli avversari sfruttando le urne per verificare i rapporti di forza al proprio interno. Ha scelto la seconda opzione. Se corre il rischio di un cappotto davvero clamoroso per una coalizione che sempre nei sondaggi è puntualmente maggioritaria è proprio perché Lega e FdI hanno preferito sfruttare la circostanza per una resa dei conti nella destra. L'esito determinerà per intero il corso della politica in Italia nella prossima fase. Se i sondaggi saranno smentiti, come è del tutto plausibile, e la Lega si confermerà primo partito della destra, Salvini investirà quanto gli resta del suo capitale politico sulla carta di una vittoria elettorale della destra, che lo imporrebbe come premier. La bilancia penderà dalla parte del "partito di lotta". Il rischio di elezioni diventerà un'opportunità, comunque non più uno spauracchio. La Lega non mollerà Draghi, continuerà anzi a proclamarsi il partito più fedele al premier. Ma nei momenti di tensione punterà i piedi infinitamente più di quanto non faccia oggi, non dovendo più temere crisi e aperura delle rune subito dopo la fine del semestre bianco. Ma se invece i pronostici favorevoli a FdI saranno confermati il quadro apparirà rovesciato. È molto difficile immaginare che Lega e Fi intendano davvero subìre una destra a trazione Meloni. La coalizione resterà formalmente unita fino alle elezioi politiche, perché conviene a tutti, ma con una vera ipoteca sulla possibilità di dissolvimento subito dopo la chiusura delle urne se a uscire incoronata dal voto sarà sorella Giorgia. In quel caso la bilancia, dopo le amministrative, sarà a favore del partito di governo, perché Salvini dovrà mettere nel conto l'opzione di una nuova alleanza trasversale, e forse di un nuovo governo Draghi, dopo le elezioni politiche. Ma sino a quel momento, in fondo non lontano, questione di poche settimane, il leader della Lega non può che prodursi in impossibili esercizi di equilibrismo, cercando di non scontentare troppo nessuna componente della propria base elettorale, in attesa che il verdetto delle urne gli dica come dovrà muoversi nei prossimi mesi.