L’eutanasia «sarebbe solo un diritto in più» per i cittadini, non un obbligo cui sottoporre chiunque indiscrinatamente. Dunque, secondo il costituzionalista Michele Ainis, il referendum promosso dall’Assaociazione Luca Coscioni è uno strumento per che «restituisce al singolo la possibilità di vivere la propria vita finché è tale». Professore, sul referendum la contrapposizione è già netta: da un lato i sostenitori del diritto alla vita, dall'altra i difensori del diritto alla scelta. Che idea si è fatto di questa partita? Il referendum obbliga in qualche modo a schierarsi su due trincee, è la natura del Sì o No che esalta le contrapposizioni per cui noi italiani abbiamo una sorta di vocazione: guelfi e ghibellini, juventini e milanisti e via dicendo. Però è anche vero che il luogo delle mediazione, il Parlamento, non riesce a decidere sui temi etici. Dunque, ammesso che un referendum possa essere un male perché ti costringe a una scelta netta, è comunque un male minore rispetto alla non decisione. Quindi sui temi etici è corretto lasciare la palla ai cittadini? Penso proprio di sì. Tanto è vero che spesso i partiti su questi temi lasciano libertà di coscienza ai propri parlamentari per uscire dall'imbarazzo. Su certi argomenti bisogna essere liberi di decidere senza vincoli. I temi etici si prestano particolarmente al referendum, non dimentichiamo che il primo fu quello sul divorzio. Qualora vincessero i sì all'eutanasia, qualora cioè venisse abrogato l'articolo 579 del codice penale sull'omicidio del consenziente, come cambierebbe il Paese? Gli italiani avrebbero una libertà di scelta in più, da esercitare comunque con tutte le cautele del caso. D'altra parte il referendum non vuole abrogare completamente l'articolo 579, nei casi di minori, infermi di mente o qualcuno la cui volontà sia stata estorta l'articolo 579 rimane invariato. Mi sembra un buon punto di caduta per risolvere un conflitto ed evitare la tirannia dei valori. Eppure i detrattori del diritto all'eutanasia, esponenti del mondo cattolico e non solo, sostengono che una volta abrogato l'articolo 579 potrebbe chiedere di morire anche una persona semplicemente depressa... Ad oggi se una persona depressa decide di suicidarsi può farlo senza commettere alcun reato. Ricordiamoci che la norma in vigore affonda le proprie radici negli anni Trenta, quando non esistevano terapie intensive e il confine tra la vita e la morte era più netto. Oggi l'evoluzione delle cure e della medicina consentono di protrarre per un tempo molto lungo quella condizione di non vita e non morte. Dunque è come se l'eutanasia ci riportasse a una sorta di diritto di natura, lontano dall'artificio della tecnica. Si restituisce al singolo la possibilità di vivere la propria vita finché è tale. Si tratta dunque di un referendum contro l'accanimento terapeutico? Senz'altro. È una libertà in più che eserciterebbe il singolo, senza alcun obbligo.Qualcuno dice che basterebbe modificare l'articolo 580 sull'istigazione al suicidio, come dovrebbe fare il Parlamento su indicazione della Consulta, per evitare di arrivare all'introduzione dell'eutanasia...Sono questioni contigue ma diverse. In ogni caso sono passati tre anni dalla prima sentenza della Corte costituzionale che sollecitava il Parlamento a intervenire in merito, e uno o due da quando la Consulta è intervenuta dichiarando l'incostituzionalità parziale dell'artico 580 ma le Camere non sono ancora riuscite a produrre una legge. È la prova di un'impotenza del Parlamento. Perché il Parlamento resta immobile? Questa è una delle situazioni in cui si può misurare il distacco tra i partiti e i cittadini. Molti partiti hanno ancora paura di offendere la sensibilità dei cattolici e di perdere voti. Peccato che i cittadini, anche quelli cattolici, sono gli stessi che poi vanno di corsa ai banchetti per firmare il referendum. Non è una mancanza di coraggio, è miopia, incapacità di leggere la società italiana. Ma mi faccia aggiungere una cosa. Quando è iniziata la legislatura, gli apostoli del referendum erano i 5 Stelle, che avevano addirittura proposto di introdurre il referendum propositivo. Non c'è più traccia di quella spinta. A spingere sull'uso dello strumento sono rimasti solo i due partiti più antichi dell'arco parlamentare: i Radicali e la Lega, almeno per il referendum sulla giustizia. A proposito di referendum sulla giustizia, crede sia corretto che siano i cittadini a occuparsene? Perché no. I referendum intervengono solo su alcuni punti, sono un luogo di codecisione non solo su temi etici ma anche su questioni istituzionali. Quindi è giusto responsabilizzare un cittadino su questioni tecniche e non etiche? Abbiamo avuto referendum sul nucleare e sulla procreazione assistita. Temi così tecnici da mettere in difficoltà persino gli addetti ai lavori. Eppure li abbiamo celebrati. Del resto, siamo certi che in Parlamento ci siano tutti questi scienziati in grado di legiferare su certe questioni? I banchetti organizzati dall'associazione Luca Coscioni hanno già portato a casa 750 mila firme. Come legge questo dato sulla partecipazione? È un successo dello strumento in sé. Nonostante questo referendum parli di vita e di morte in una fase particolare delle nostre vite, nel bel mezzo di una pandemia che avrebbe potuto provocare un rigetto degli italiani rispetto a questo tema, i cittadini sono andati a firmare. Perché ciascuno si identifica in un malato grave, ma anche perché c'è voglia di riappropriarsi della decisione politica. In questi ultimi due anni abbiamo subito, a causa dell'emergenza, decisioni molto invasive sulle nostre vite da parte dei governi che si sono succeduti, senza alcuna possibilità di poter codeterminare queste scelte. Credo ci sia in circolo una voglia di tornare a decidere qualcosa dopo un lungo tempo di imposizioni e di confisca di libertà.