Salvini reclama la testa della ministra Lamorgese, pur non avendo alcuna intenzione di far cadere il governo Draghi e dunque sapendo che la ministra, salvo incidenti di percorso senza dubbio possibili, resterà al suo posto. Letta vuole le dimissioni del sottosegretario leghista Durigon ed è pronto al passo estremo di una mozione di sfiducia che, sempre senza imprevisti passi falsi, sa che verrà bocciata. Ordinaria amministrazione nel ménage di un'alleanza tra partner che nemmeno provano a fingere di non detestarsi ma, al contrario, si sforzano di apparire ancor più incompatibili di quanto non siano. Andrebbe così comunque ma tanto più sotto lo stress di elezioni imminenti, quando esasperare le differenza è repertorio. Dire che Draghi non se ne preoccupi sarebbe probabilmente esagerato.

L'inizio della campagna elettorale...

È un gioco fatto di baruffe studiate a uso della campagna elettorale, anzi di una campagna elettorale interminabile perché subito dopo le Comunali i partiti inizieranno a concentrarsi sulle a quel punto non troppo distanti elezioni politiche. Ma i giochi possono sfuggire di mano e Draghi non può quindi derubricarli a rumorosa ma innocua sceneggiata. Però non è nemmeno troppo in allarme. Sa che comunque sino all'elezione del capo dello Stato non succederà niente di irreparabile e il successivo corso degli eventi è del tutto al buio. Molto, quasi tutto, dipenderà proprio dall'esito di quella partita determinante.

Il duello sulla Lamorgese

Non significa che con la Lega non ci siano problemi ben più brucianti del duello sul ministero Lamorgese e il doppio incontro di lunedì di Draghi, prima a colloquio con Salvini, poi con Giorgetti, indica quanto seriamente palazzo Chigi consideri delicati quei capitoli. Il primo è quota 100. Non è pensabile che un governo con ministri leghisti e sostenuto dalla Lega ripristini la riforma Fornero secca. Quota 100 è, dopo la campagna contro l'immigrazione, la principale bandiera leghista, la conquista numero uno, e anzi esclusiva, della fase del governo gialloverde. Se si considera lo smacco subìto con la nomina proprio di Elsa Fornero a consulente di palazzo Chigi si vede chiaramente quanto immensa sarebbe la portata della sconfitta.

D'altra parte Draghi non può, a maggior ragione a fronte di un debito che col Covid ha raggiunto vette vertiginose, confermare la riforma leghista. Persino più della già nevralgica riforma fiscale Quota 100 è una bomba innescata e pronta a esplodere. Se succedesse forse lo scoppio non abbatterebbe subito, in pieno semestre bianco, il governo. In compenso lo paralizzerebbe.

Non meno spinoso il ramo immigrazione, che del resto è la vera posta in gioco anche nella campagna contro la ministra Lamorgese. Draghi, a differenza di tutti i predecessori, ragiona sempre in termini sia di Italia che di Ue e sa bene quanto deflagrante possa rivelarsi la crisi afghana per la Ue. Se dovessero riemergere senza variazioni significative le divisioni che travagliano da sempre l'Unione a fronte della probabile nuova ondata di rifugiati non si tratterebbe solo di un fronte tra i tanti.

La crisi migratoria

L'intero sogno di una Europa destinata a uscire rigenerata e profondamente modificata dalla lunga pandemia si ridurrebbe probabilmente a miraggio. Gli egoismi nazionali che già avevano portato l'Unione sull'orlo dell'abisso rispunterebbero tutti uno dopo l'altro e stavolta senza prove d'appello. La crisi afghana è serissima di per sé ma lo è ancora di più per le implicazioni possibili e i rischi complessivi che implica.

L'Italia e il suo premier possono e devono giocare un ruolo centrale nello sforzo per impedire che la nuova e prevedibile crisi migratoria si risolva in un colpo duro alla coesione, alla credibilità e all'evoluzione della Ue.

Ma per questo è necessario che, pur con tutte le inevitabili distinzioni interne, nella maggioranza italiana non si riproducano gli stessi fronteggiamenti che minacciano l'Unione. Obiettivo tutt'altro che facile dal momento che per Salvini, oltretutto incalzato com'è da Giorgia Meloni, moderare i toni su quel fronte e con le urne aperte dietro l'angolo è impossibile. Né Draghi né Salvini hanno alcuna intenzione di arrivare a una vera crisi, come quella sulla giustizia con i 5S. Ma trovare la via d'uscita davvero non è e non sarà facile.