Un articolo del 2016 del Corriere della Sera raccontava la vita quotidiana, l’attività e le speranze di otto donne di Kabul. Tra queste Latifa Sharifi, l’avvocata che lavorando per la storica associazione Hacwa, che cercava di tutelare i diritti delle mogli e dei bambini afgani, si occupava di assistere tutte coloro che volevano separarsi o divorziare dal proprio marito.

Cosa diceva l'avvocata afghana

Un’impresa difficile perché, nonostante in quel momento i Talebani fossero ancora dispersi sulle montagne all’interno del paese, la legge non ha mai garantito il rispetto dei diritti delle donne. Come spiegava la stessa Sharifi: «Devi provare di essere stata picchiata. Ma alcune madri, quando scoprono che i figli dopo i 7 anni e le figlie dai 9 restano col padre, preferiscono sopportare le botte». Non sono rari i casi di atti di autolesionismo che arrivano anche al gesto estremo di darsi fuoco. Il marito insomma esercita un potere quasi incontrastato sulla famiglia.

Per questa sua attività, nel corso degli anni, la legale ha subito minacce e violenze. E’ stata inseguita mentre accompagnava i bambini a scuola, ha ricevuto lettere intimidatorie ( una macchiata di sangue, un segnale inequivocabile) nella quali la si accusava di corrompere le donne afgane, minacciato il figlio fino alla violazione della sua casa presa a sassate.

Cambiare è possibile

Latifa però non ha mai ceduto e, come ha fatto fin dal 2009, ha continuato a credere che un cambiamento fosse possibile. Ora con la caduta di Kabul nelle mani degli studenti coranici tutto sembra perduto e la sua permanenza nella capitale afgana impossibile. Ha dovuto cambiare casa e dalle notizie che arrivano a fatica vive in clandestinità.

Appare dunque incomprensibile che non riesca a lasciare l’Afghanistan e rifugiarsi all’estero. Lo testimonia l’episodio del 15 agosto scorso quando con la famiglia si è recata all’aeroporto di Kabul per tentare di imbarcarsi insieme a migliaia di persone in fuga.

Latifa lotta contro i talebani dal 2009

Nonostante Latifa abbia una sorella che vive negli Stati Uniti è stata respinta senza troppe spiegazioni. Proprio grazie alla familiare è stata resa nota una sua lettera- appello che racconta l’accaduto. «Sanno chi sono. Sono un’avvocata che ha lottato contro i talebani dal 2009. Non mi preoccupo più solo per la mia vita, ma per i miei tre figli che meritano di vivere un’esistenza che non sia fatta solo di armi, cadaveri, sangue, abusi dei talebani su donne e bambini. Ho svolto il mio lavoro ogni giorno, sperando di fare la differenza nelle vite delle donne e dei bambini. Sfortunatamente oggi fuggo per cercare di salvare me stessa. Non ho un luogo dove andare. Non so se le mie parole vi raggiungeranno. Ma in tal caso, vi prego di aiutarmi».

La situazione ora rischia di diventare ancora più difficile perché i Talebani stanno per chiudere le vie di fuga. Ieri infatti Suhail Shaheen, membro della delegazione talebana a Doha, ha reso noto che «se gli Stati Uniti o il Regno Unito dovessero chiedere più tempo per continuare le evacuazioni, la risposta è no. Ci sarebbero conseguenze. È una linea rossa. Il presidente Biden ha annunciato che il 31 agosto avrebbero ritirato tutte le loro forze militari. Quindi, se lo estendono, significa che stanno estendendo l'occupazione mentre non ce n'è bisogno». Il salvataggio di Latifa Sharifi dunque è diventata una corsa contro il tempo.

«Latifa lasci subito l'Afghanistan»

L’Osservatorio degli avvocati in pericolo (OIAD) ha rivolto un appello all’Alto commissario per la politica estera della Unione europea, al Presidente del Parlamento europeo ed ai ministri degli Esteri dei Governi francese, italiano, spagnolo e svizzero, in quanto Governi dei paesi di cui fanno parte gli ordini nazionali forensi fondatori dell’Osservatorio e componenti del direttivo, per riuscire a concedere asilo politico all’avvocata unitamente alla sua famiglia.

Per questo l’Oiad chiede che venga immediatamente concesso all’avvocata Latifa Sharifi la possibilità di lasciare l’Afghanistan, unitamente alla sua famiglia, e di richiedere asilo politico. A tal fine ha rivolto un pressante appello all’Alto commissario per la politica estera della Unione europea, al Presidente del Parlamento europeo ed ai ministri degli Esteri dei Governi francese, italiano, spagnolo e svizzero, in quanto Governi dei paesi di cui fanno parte gli ordini nazionali forensi fondatori dell’Osservatorio e componenti del direttivo.

Inoltre il Consiglio nazionale forense (Cnf) sta mettendo in campo iniziative affinchè durante il G20 sull’empowerment femminile, che si terrà a Santa Margherita Ligure il prossimo 26 agosto, si discuta della creazione di corridoi umanitari per aiutare le donne afgane ad uscire dalla tragica situazione che stanno vivendo. Tra queste proprio le avvocate e gli avvocati che stanno tentando di ottenere asilo politico.