«Spero veramente che gli imponenti investimenti previsti, da sempre invocati in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari, portino al rinascimento della nostra giustizia con benefici non solo per gli avvocati, ma soprattutto per i cittadini». Con la chiarezza che la contraddistingue l’avvocata Simona Grabbi, presidente del Coa di Torino, guarda al futuro, alla fase post pandemica, dopo tanti mesi di preoccupazioni e mutate prospettive per l’avvocatura. «Auspico - commenta Grabbi - un nuovo periodo di grandi cambiamenti e il raggiungimento di obiettivi fino a pochi mesi fa insperati, se si pensa che nel rapporto Censis del 2019, commissionato dalla Cassa Forense, alla domanda rivolta al campione di cittadini variamente composto per età, sesso, provenienza geografica, su quale fosse il problema principale della nostra giustizia, oltre il 60 per cento ha risposto che il problema più grave, sotto gli occhi di tutti, è la sua drammatica lentezza». I tempi lunghi sono la zavorra più ingombrante e pesante. Una vera e propria onta che rende la giustizia un’altra cosa con conseguente perdita di fiducia da parte dei cittadini e svilimento della professionalità degli avvocati. Per questo sono fondamentali interventi mirati e il più possibile condivisi. «La ministra Cartabia – ricorda Grabbi -, il lontano 25 aprile, alla domanda di un giornalista che le chiedeva informazioni sulle caratteristiche principali sulla sua riforma della giustizia, rispondeva, quando ancora non era pubblico il testo del Pnrr, che “come abbiamo scritto nel Recovery, la nostra idea è che una giustizia rapida e di qualità è fondamentale anche per lo sviluppo economico, aiuta la crescita, stimola la concorrenza e la competitività, facilita il credito bancario, aiuta gli investimenti». Una riduzione della durata dei processi civili del cinquanta per cento può accrescere la dimensione media delle imprese italiane di circa il dieci per cento. Una riduzione da nove a cinque anni dei tempi di definizione delle procedure fallimentari può generare un incremento di produttività dell’economia dell’1,6%».Il concorso per il personale da impiegare nell’ufficio del processo, bandito lo scorso 6 agosto, prevede in questa prima fase l’assunzione nel distretto della Corte d’appello di Torino di 401 persone (si tratta della settima sede italiana con il maggior numero di posti messi a disposizione). Oltre a questo, pure i concorsi precedenti hanno segnato una tendenza: per tanti avvocati si tratta di un treno da non perdere. «Nel Coa di Torino – dice la presidente Grabbi - sono pervenute domande di cancellazione per incompatibilità per futuri cancellieri, anche di colleghi con molti anni di professione sulle spalle. Al 31 luglio, tuttavia, il saldo tra cancellazioni dall’albo ed iscrizioni è ancora positivo, le seconde superano le prime. Un dato confortante. L’anno scorso è stato negativo per una cinquantina di cancellazioni in più rispetto alle iscrizioni». Fino allo scorso luglio, nell’Ordine di Torino le cancellazioni sono state 276, mentre le iscrizioni 337. Il numero dei praticanti registra, invece, confrontato con più anni, un andamento ondivago. All’ombra della Mole nel 2016 i praticanti iscritti sono stati 348, con un aumento nel 2018 fino a 371 iscrizioni ed un calo vistoso lo scorso anno (248), complice il Covid. «Indubbiamente – evidenzia - l’ambizioso piano di investimenti pianificati per il settore giustizia, grazie agli imponenti finanziamenti, con il Pnrr porterà finalmente all’integrazione dell’organico del personale amministrativo e giudiziario. Per il Piemonte sono previste, in totale, solo per la composizione dell’ufficio del processo ben ottocento assunzioni a tempo determinato in oltre due anni. Non possiamo escludere che possa essere considerato dalle giovani toghe un’esperienza interessante e foriera di una stabilità economica non prevedibile fino a questo momento». La presidente del Coa di Torino va in profondità nelle sue riflessioni. Rivolge l’attenzione ad un tema spesso posto su un secondo piano: la situazione complessiva in cui versano le professioni intellettuali, compresa quella dell’avvocato, alcune delle quali molto legate tra loro. «Non penso – dice - che sia diventato più difficile negli ultimi anni fare in particolare l’avvocato. Penso sia diventato più difficile esercitare diverse professioni intellettuali al servizio di cittadini e imprese che negli ultimi anni hanno conosciuto periodi di crisi economica, con le conseguenze che ne discendono in riferimento alla contrazione delle consulenze stragiudiziali e alle difficoltà di recupero degli onorari per le prestazioni giudiziali». «Altro aspetto peculiare della nostra professione sono indubbiamente i numeri, posto che, ad oggi, siamo circa 245mila. Il crollo dei redditi medi, avvenuto nell’annus horribilis del 2012, quando i redditi medi a livello nazionale scesero del 17 per cento, qui in Piemonte del 7 per cento, avveniva in un anno in cui la crescita del numero degli avvocati era numericamente coerente a quanto avvenuto nel passato, circa dieci-undicimila all’anno. Ma, evidentemente, complice anche la crisi di diversi settori dell’economia si era raggiunto il punto di massima saturazione». La sfida, a detta di Grabbi, «è investire nella formazione nei nuovi settori in cui la nostra professione può essere ancora, come ritiene la metà del campione intervistato dal Censis e come si legge nella relazione del 2020, essenziale». «Preciso - conclude la presidente degli avvocati torinesi - che un altro 40 per cento ha ritenuto la figura dell’avvocato e la sua funzione sociale non essenziale, ma utile. Ebbene, dobbiamo essere all’altezza di queste aspettative dei cittadini, specializzarci e dare loro risposte adeguate, che anche nei nuovi settori trainanti dell’economia, per esempio la sostenibilità ambientale e la digitalizzazione, apriranno di sicuro nuove prospettive lavorative».