Prabhat Eusebio è il fondatore di Uno Editori, casa editrice torinese specializzata in testi di «spiritualità, esoterismo e mondi incantati» – tra i cui titoli si possono contare: L’amore fa soffrire, La tua vagina parla, La truffa del popolo eletto, Biografia non autorizzata di Benito Mussolini. Ha creato scalpore e curiosità la sua decisione di abbandonare il Salone del Libro di Torino – come lui dice – «per rispettare uno dei valori più elevati e sacri dell’universo, la libertà... per dire NO a un sistema repressivo e coercitivo... per attenuare gli effetti della sociopatia dilagante di questa era, la falsa pandemia!» Prabhat Eusebio è uno splendido cinquantenne, in gran forma e dall’aria serena, che dalla sua pagina facebook augura a tutti lunga vita e prosperità. Agli inizi di agosto era in piazza, nella manifestazione di protesta a Torino e in ottanta altre città, al grido di “Freedom, freedom”. La fascia d’età più restia alla vaccinazione – e dove si contano i numeri e le percentuali maggiori di non vaccinati – è proprio quella dei cinquantenni. I dati che provengono dalle regioni sono questi, dal nord al sud, passando per il centro: a metà agosto, secondo il ministero della Salute, erano esattamente 3.898.876 gli over 50 che non avevano ricevuto alcuna dose del vaccino; tra questi, spiccava con il 21,26 percento di non vaccinati nella propria fascia d’età, quella dei 50-59 anni (2.012.506), rispetto il 14,42 percento nella fascia 60-69 anni (1.072.774), il 9,92 percento nella fascia 70-79 anni (591.491), il 5,63 percento nella fascia 80-89 (208.188) e l’1,71 percento nella fascia over-90 (13.917). Come si vede, dai sessant’anni in su, più aumenta l’età e più diminuisce la quota di non vaccinati. Eppure erano stati proprio i cinquantenni in primavera a dare una spinta sostanziale alla vaccinazione: era il secondo lockdown su base regionale, l’Italia era quasi tutta in giallo e i cinquantenni si vaccinavano a botte di oltre 150mila al giorno. Poi, a giugno, la retromarcia. E in una forma che interessa tutte le regioni, più consistente dove in generale più larga è la platea di non vaccinati, e con percentuali simili: 25,4 percento in Sicilia e Calabria, 25,2 percento nella provincia autonoma di Trento e Bolzano. Che succede agli splendidi cinquantenni? All’inizio dell’anno sono stati pubblicati negli Stati uniti i risultati di un sondaggio raccolti tramite facebook dal Delphi Lab della Carnegie Mellon University, uno dei migliori team di previsione del contagio a livello nazionale: quasi un quarto della popolazione del paese dichiarò non si sarebbe vaccinato, anche se le dosi fossero state già disponibili (precisamente: su 18 milioni di persone che hanno risposto al sondaggio preparato dai ricercatori, in 4,1 milioni hanno affermato che non intendono farsi iniettare alcunché). Il modo in cui le persone reagiscono di fronte alle vaccinazioni varia ampiamente da stato e contea: la percentuale di intervistati che accetterebbe un vaccino scende al 48 per cento nella parrocchia di Terrebonne, in Louisiana, e raggiunge il 92 per cento nella contea di Arlington, in Virginia. Sulle motivazioni (più d’una) addotte per il proprio rifiuto, il 45 percento è preoccupato dagli effetti collaterali, il 40 percento preferisce aspettare per vedere cosa succede a chi ha già ricevuto il vaccino, il 29 percento è contrario di principio ai vaccini, il 27 percento non si fida del proprio governo, il 21 percento è convinto di non averne bisogno, e il 4 percento si rifiuta per motivi religiosi. Forse quest’ultima sembrerà la più bizzarra – ma a me è capitato di ascoltare un arcivescovo, non proprio l’ultimo dei parroci, che predicava contro il diabolico insito nella vaccinazione, un piano di sterminio preparato a tavolino contro l’umanità, proprio come (parole sue) la carestia di Stalin contro i contadini ucraini. Dall’inizio dell’anno, le cose non sono cambiate negli Stati uniti – che è come dire che la campagna di vaccinazione incontra comunque un “grumo” di diffidenza e ostilità che non è stato minimamente intaccato dai risultati. Che è, cioè, contrario alla vaccinazione a prescindere – anche se, per paradosso, la curva dei contagi e dei decessi arrivasse prossima allo zero. Non c’è motivo di credere che il sondaggio del Delphi Lab non sia valido anche per noi. Con i dati relativi ai cinquantenni. Marco Terraneo, che è docente di Sociologia della salute all’università Bicocca di Milano, prova a tracciare una spiegazione di questa “resistenza”: «Capire il perché non è semplice. Chi ha tra i 50 e i 59 anni è a metà del guado. Guarda gli anziani e pensa che, data la loro età, non hanno poi molto da perdere nel caso in cui il vaccino dovesse per caso rilevare effetti collaterali a lungo termine. Rispetto ai giovani, poi, i cinquantenni non hanno più l’esigenza di proteggersi per uscire la sera e cercare nuove esperienze». Insomma, i cinquantenni possono mettere in conto che l’atteggiamento più utile per loro sia stare a guardare che succede. Un egoismo convinto, nella fascia d’età che dovrebbe essere quella che “traina” la società. Tutt’al contrario i giovani: la media quotidiana dei 20-29enni era di 25mila il primo giugno, di 108mila l’8 agosto e viaggia intorno ai 50mila in questo periodo. A livello nazionale, solo il 27,3 percento dei nati tra il 1992 e il 2001 non ha ancora ricevuto neppure una dose. Una percentuale inferiore a quella dei 30-39enni (31,3 percento e pari a quella dei 40-49enni (27 percento). Magari l’atteggiamento dei giovani non è dettato da un senso di responsabilità verso la collettività – d’altra parte, è difficile sostenere che gli over80 siano soprattutto preoccupati degli altri e non piuttosto, umanamente, di salvare se stessi, anche perché sono stati fin dall’inizio i più esposti e i più colpiti – e ha giocato moltissimo il desiderio di andare all’estero o anche sulle spiagge di casa nostra, di partire per le vacanze con i propri amici, con la propria fidanzata, e l’obbligo del Green pass ha funzionato da forca caudina sotto cui passare. Un “classico” del pensiero sul perseguire l’utile individuale che finisce con l’agire come utile generale. Eppure, come e perché si dovrebbe “giudicare” questo bisogno di socialità dei più giovani, questo desiderio di tornare alla vita, ai giochi amorosi, alle esperienze formative, all’abbandonarsi semplicemente a non aver pensieri tranne che la propria assoluta giovinezza? Scriveva Elsa Morante: «Ve lo ripeto, o Signori Infelici Molti, non c’è verso: / con i Felici Pochi non ce la potrete mai spuntare. / Quelli conoscono il volo da prima assai dell’aviazione conoscono / la medicina che guarisce tutti i mali da prima assai / della penicillina quelli sanno la resurrezione / dai morti!»