Lo scrittore Federico Di Vita era presente la seconda sera dell’ormai famoso rave party di Viterbo e dà una versione diversa di quella riportata dalla maggior parte dei media e degli abitanti del posto. Spiega che «stupri, parti e cani morti sono fake news» e difende l’impianto della festa.

Lei in un recente articolo ha difeso il rave di Viterbo, definendolo un party sul quale c’è stata troppa pressione da parte di stampa e osservatori. Ci racconta il clima di quei giorni?

Sono stato allo Space Travel n. 2 – questo il nome del Teknival che si è svolto al confine tra le province di Viterbo e Grosseto – la seconda notte, prima dell’incidente nel lago di Mezzano. Il clima di quel Teknival era splendido: un evento così fervidamente vivo, vibrante, così vario e anche con un piglio così anarchicamente libero capita raramente di poterlo frequentare. Quella in cui c’ero io era una stupenda notte d’estate in cui si poteva ballare sotto più di trenta palchi diversi, il tutto senza pagare un euro.

Chi c’era racconta di droga in vendita a pochi euro, alcol e niente distanziamento, ma anche di spazi ricreativi, attività collaterali e di autogestione. È possibile in queste feste l’equilibrio tra illegalità e responsabilità?

Due sere fa all’Olimpico c’erano 27mila persone, può immaginarsi che distanziamento ci sia stato quando la Roma ha segnato i suoi tre gol. Oltre all’Olimpico sono ricominciate Serie A e Serie B, personalmente sono contento che ci sia il pubblico allo stadio ma dal punto di vista della ressa non c’è paragone con un evento da poche migliaia di partecipanti, che hanno insistito per circa una settimana su un’area vasta chilometri. Per quanto riguarda l’uso di sostanze al Teknival, segnalo che c’erano chioschi per la riduzione del danno: cioè per valutare il rischio legato alla qualità delle eventuali sostanze in vendita (per assicurarsi che non fossero tagliate, ad esempio) – ha mai visto qualcosa del genere all’interno di una discoteca? Direi che questo dimostra che il quoziente di responsabilità è semplicemente fuori scala rispetto a quanto avviene in contesti istituzionalizzati.

Lei non associa la morte del 24enne con il rave, ma ci sono stati anche casi di persone in come etilico, un parto avvenuto in mezzo alle sterpaglie e due presunti stupri. Quanto è alto il rischio, sempre che ci sia, che eventi come questo alimentino comportamenti pericolosi per la propria salute?

Gianluca Santiago è affogato a causa di un mulinello. L’acqua dei laghi è pericolosa: negli stessi giorni il cinquantenne Bruno Mancini è annegato nel Lago di Bolsena, ma dato che non stava andando al Teknival la stampa non ne ha parlato. “Presunti stupri” non ci sono stati: ci sono stati dei giornali locali che hanno lanciato delle fakenews. Sono notizie rivelatesi infondate, di alcune è stato possibile ricostruire la dinamica in modo dettagliato, per esempio quella dei cani morti veniva da un commento scherzoso di un tizio che sul gruppo Seguaci della Tekno alla domanda «Com’è la situazione?» rispondeva «cani morti ovunque». La battuta, non colta, è stata ripresa dai giornali locali della Tuscia, poi da Repubblica Roma e poco dopo era al Tg2, senza che nessuno si preoccupasse di controllarne la veridicità. Alla fine di una festa durata una settimana e con circa diecimila partecipanti si sono contati 7 ricoveri in ospedale per abuso di alcol. Tutti i ragazzi ricoverati sono già stati dimessi in buone condizioni.

Molti hanno accusato la ministra Lamorgese di non aver sgomberato i partecipanti, altri di non averli fermati prima, altri ancora si complimentano con lei per la gestione soft. Qual è il rapporto tra questi eventi e la macchina statale?

Sia gli organizzatori dell’evento che le forze dell’ordine hanno ritenuto che interrompere il Teknival all’improvviso avrebbe creato più problemi di quelli che avrebbe risolto, cioè i raver e la polizia su questo la pensavano allo stesso modo. Mi pare arrivato il momento di cominciare a considerare la possibilità che quella fosse la soluzione migliore.

Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, nell’approccio dell’opinione pubblica di fronte a certi eventi rispetto, ad esempio, agli anni ’70 e ’80?

Il dibattito culturale in Italia riguardo a questi temi è ormai di alto profilo, rimando al lavoro di Tobia D’Onofrio e Vanni Santoni e – per una rapida panoramica bibliografica – al suo articolo uscito sul Corriere della Sera domenica scorsa. L’atteggiamento della stampa mainstream è invece da mani nei capelli, in appena una settimana si è fatto un balzo indietro di 30 anni. Il Messaggero qualche giorno fa titolava: «L’affronto degli sbandati: selfie a Fontana di Trevi». Gli “sbandati” compiono un “affronto” (non si sa verso chi) facendosi un selfie a Fontana di Trevi. Direi che abbiamo polverizzato il muro dell’imbarazzo.