Bergamo città martire della pandemia. Tra il febbraio ed il marzo 2020 il capoluogo lombardo ha pagato un prezzo altissimo. Le immagini dei mezzi militari che trasportavano decine e decine di feretri di persone stroncate dal Coronavirus hanno fatto il giro del mondo. Impossibile dimenticarle: resteranno nella storia del nostro Paese. Un contributo alto lo ha pagato anche l’avvocatura orobica. Sono stati cinque gli avvocati colpiti e uccisi dal virus. Perdite improvvise che hanno lasciato un vuoto tra i colleghi. Bisogna guardare, però, al futuro con ottimismo. È quanto pensa l’avvocata Francesca Pierantoni, presidente del Coa di Bergamo. «I bergamaschi – ricorda - hanno assistito per primi ad una escalation di dolore, quando ancora non si conosceva l’effetto devastante del Covid. Non vi è uno di noi che tra parenti, amici e conoscenti non abbia subito un lutto, aggravato dalla impossibilità di salutare chi ci lasciava e di congedarli con il rito funebre. Abbiamo avuto paura, ci siamo sentiti impotenti, abbiamo conosciuto il “nemico invisibile”. Inizialmente si manifestava con la febbre e subito degenerava in polmonite. Nel nostro Coa abbiamo perso cinque colleghi. Attraverso le loro storie abbiamo compreso l’insidiosità del Covid, che colpiva con una velocità inaudita. Li avevamo visti fino a febbraio in udienza, stavano bene, eppure nel giro di una settimana sono finiti in terapia intensiva e le loro condizioni si sono aggravate irrimediabilmente». Il dolore provocato dalle morti per Covid è per i legali di Bergamo la leva per la rinascita, nonostante i problemi che attanagliano l’avvocatura e che stiamo constatando nel nostro viaggio nei Fori italiani. Nello scorso mese di giugno il Consiglio dell’Ordine bergamasco ha ricevuto in una sola settimana sei richieste di cancellazione dall’albo. «Diversi avvocati – spiega la presidente Pierantoni - hanno superato il concorso per cancelliere esperto. Talvolta capita che qualcuno chieda la cancellazione dall’albo perché ha superato il concorso nella magistratura oppure perché assunto da un’azienda, ma sono casi più rari e sporadici. Le cancellazioni dello scorso giugno sono state un caso rappresentativo della situazione che stiamo vivendo. In un Foro di 2015 avvocati, dove in un anno riceviamo una trentina di richieste di cancellazione per cessazione di attività, fisiologicamente concentrate alla fine dell’anno, il particolare denota una nuova tendenza. Ciò in quanto a cancellarsi erano persino colleghi con anzianità ventennale». Troppo ghiotta, nel particolare momento che stiamo vivendo, l’occasione offerta dai concorsi pubblici per mettersi alle spalle – pensano tanti avvocati – una professione che negli ultimi dieci-quindici anni è diventata sempre più difficile e avara di soddisfazioni. «I concorsi nella pubblica amministrazione – dice Pierantoni - non venivano banditi da almeno trent’anni, quindi la novità si è tradotta in un’opportunità colta da molti colleghi, che ora esporteranno esperienza e capacità in luoghi che già conoscono per esserne stati utenti. È probabile che altri parteciperanno al concorso per addetti all’ufficio del processo, ma in quel caso l’assunzione a tempo determinato potrebbe costituire una parentesi per l’avvocato che si cancella e magari potrà nuovamente iscriversi all’albo terminata l’esperienza». Fare l'avvocato è diventato difficile negli ultimi anni anche in territori caratterizzati da un contesto economico più dinamico rispetto al resto d’Italia? Secondo Pierantoni, si stanno pagando le conseguenze di alcuni mutamenti che partono da lontano; la pandemia ha poi reso le cose ulteriormente complicate nella quotidianità tanto in studio quanto in Tribunale con sforzi ed ostacoli da superare per gli avvocati. «La professione forense – prosegue la presidente del Coa di Bergamo - sicuramente si è evoluta ed innovata. La formazione e l’aggiornamento che ne derivano richiedono impegno, costanza e fatica. La tecnologia e la digitalizzazione sono state grandi risorse, ma non per tutti sono state di immediato utilizzo. Inoltre, le continue riforme alle quali ci siamo adeguati e che hanno raggiunto l’apice con la copiosa normativa emergenziale dell’ultimo anno, a cui si è aggiunta la difficoltà di accedere agli uffici giudiziari, ci hanno messo a dura prova. Non avremmo mai immaginato di svolgere un’udienza in forma scritta, men che meno un processo penale di appello, eppure lo abbiamo fatto. Ci viene richiesta sempre maggiore competenza, aumentano le incombenze e agli assistiti dobbiamo sempre garantire un’informativa tempestiva e completa». La tecnologia non sempre è una fedele alleata e non sempre aiuta. Anzi. Alcune volte, a detta di Pierantoni, «manca la giusta gratificazione, non solo in termini economici, quindi si percepisce la preoccupazione ed il peso della responsabilità della professione a cui però fa da contrappeso la forte motivazione. Abbiamo scelto di essere avvocati proprio perché siamo consapevoli della funzione sociale di questa professione». Quanto sta accadendo, comunque, non dovrebbe avere ripercussioni dirette sul numero delle toghe. «Non credo – afferma Pierantoni – che assisteremo ad una diminuzione drastica del numero di avvocati, sicuramente non inversamente proporzionale alla crescita delle iscrizioni alla quale abbiamo assistito negli anni Duemila. Il Rapporto Censis di Cassa Forense ci conferma, al contrario, una crescita di iscrizioni, seppure lenta e questo trova conferma nei dati del nostro Foro, dove il numero dei praticanti che ogni anno iscriviamo è piuttosto stabile. In un periodo di crisi, come quello che stiamo attraversando, è plausibile che chi ne ha la possibilità opti per scelte lavorative più sicure. Questo non comporterà in ogni caso un eccessivo decremento delle toghe. Lo dico sperando che ad arrestare la fuga intervenga l’auspicata regolamentazione della mono-committenza, finalizzata proprio a dare più certezze a chi collabora presso studi professionali e che più spesso si trova nella condizione di dover abbandonare la professione».