Nell’editoriale del Corriere della Sera di ieri Ernesto Galli della Loggia non ha fatto nomi, scrivendo genericamente di «politici furbastri di tutti i colori» che hanno profittato della tragedia in corso in Afghanistan - tra ritiro delle truppe di occupazione, fuggitivi disperati che si aggrappano agli aerei in partenza e madri che cercano di affidare ai militari occidentali che ancora presidiano l’aeroporto di Kabul i loro bambini, nella speranza di sottrarli a un futuro con i talebani - per contestare l’esportabilità della democrazia in paesi che non vi sono abituati, o che ne adottano di diverse dalle nostre per cultura, religione ed altro. E per liquidare quindi «la spedizione in Afghanistan» come «una sciocchezza». O come un crimine, anzi «un massacro» al quale secondo Luciana Castellina sul Manifesto, risparmiata dal giudizio di Galli della Loggia, avrebbero partecipato anche «i nostri ragazzi», per cui dovremmo quasi ringraziare Iddio di averne perduti solo 54 - gli “eroi” ringraziati con le loro famiglie dal presidente del Consiglio Mario Draghi- contro i 2400 americani tornati in patria nelle bare.

Con la valutazione positiva di Draghi ha convenuto l’editorialista del Corriere scrivendo che la spedizione occidentale «ha avuto l’innegabile conseguenza di dare per qualche anno un po’ di eguaglianza e di libertà a un certo numero di donne e di uomini di quel Paese». Cui «a nessuno degli acuti osservatori» critici dell’intervento militare è venuto in mente di chiedere «se l’idea di andare a Kabul a esportare la democrazia fosse davvero così assurda e da scartare». «La loro opinione è proprio così irrilevante?», ha domandato Galli della Loggia prima di contestare ai critici dell’esportazione della democrazia il diritto, per coerenza, di «chiedere, ad esempio, che l’Egitto rinunci alla sua “cultura” e si decida a far processare come si deve gli assassini di Giulio Regeni o a liberare il povero Patrik Zaki».

Forse - ha osservato provocatoriamente l’editorialista del Corriere della Sera- nel caso del Cairo si ritengono in gioco non la cultura, la tradizione e quant’altro degli egiziani ma «semplicemente gli sporchi interessi del loro governo». Ma chi giudica simili differenze? E inoltre «perché mai i democratici di casa nostra, se davvero pensano che dobbiamo lasciare indisturbati i Paesi con una storia diversa da quella occidentale, non perdono però occasione - ha chiesto sempre Galli della Loggiadi invocare continuamente le Nazioni Unite, le quali con tutta la sfilza delle loro carte e dichiarazioni sulle libertà e i diritti sono senza dubbio la più grande organizzazione mondiale per l’esportazione ideologica della democrazia?».

Anche se i destinatari di questi messaggi, chiamiamoli così, dell’editorialista del Corriere sono rimasti anonimi, penso che possa e debba sentirsi chiamato in causa anche il segretario del Pd Enrico Letta, insorto subito come una molla contro l’esportabilità della democrazia di fronte alle immagini provenienti da Kabul. Con lui se l’è presa invece esplicitamente sul Foglio giorni fa Giuliano Ferrara firmandosi con nome e cognome, e lasciando nella foresta e dintorni il suo elefantino rosso. Quelle del segretario piddino sono state liquidate dal mio amico Giulianone come «stupidaggini» in prima pagina e «bellurie» in senso ironico nel titolo della girata dell’articolo all’interno.

Il giorno prima dell’intervento di Ferrara sul Foglio se l’era presa con Enrico Letta, pur non nominandolo esplicitamente, la brava Marcelle Padovani ricordandogli che i veri «populisti» in Italia, fortunatamente perdenti, sono i grillini, interlocutori privilegiati del Pd, e non i leghisti col loro leader «opportunista» Matteo Salvini.

Tira insomma una brutta aria per Enrico Letta dal fronte culturale della intelligenzia, o intellettualità. Ma crescono i suoi problemi anche nel Pd. Dove da sinistra, per esempio, l’inesauribile Goffedo Bettini, pur sostenendo il segretario nel rapporto privilegiato con i grillini, si è sottratto alla “disciplina di partito” invocata al Nazareno per contrastare o non partecipare alla raccolta delle firme dei referendum radical- leghisti sulla giustizia. E da destra, diciamo così, è arrivata non più tardi dell’altro ieri l’anticipazione di Francesco Vederami, sul Corriere della Sera, che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini nelle comunicazioni che farà il 24 agosto, insieme col collega degli Esteri, alle competenti commissioni congiunte della Camera e del Senato sulla questione afghana sottolineerà «l’abnegazione e l’impegno dimostrato in questi venti anni dalle Forze Armate» giusto per «prendere personalmente le distanze dalle tesi che albergano ai vertici del suo partito». «Dove - ha specificato il retroscenista del Corriere - si sostiene l’idea che la democrazia non si possa esportare con le baionette», per cui la partecipazione italiana alle operazioni in quel Paese sarebbe stata, a dir poco, inutile, visto che bisognerebbe «prepararsi al peggio», come ha appena pronosticato Letta. Vallo a dire anche al presidente del Consiglio, che temo non avrà gradito o comunque condiviso neppure lui la posizione del segretario del Pd.