L’occupazione militare dell’Afghanistan da parte della Nato ha avuto il più tragico degli epiloghi. Nonostante sia stato da tempo annunciato e preparato, le modalità e le conseguenze del ritiro delle forze militari straniere, tra le quali quello delle nostre forze armate, ha lasciato sgomenta l’opinione pubblica internazionale, suscitando interrogativi angosciosi per chiunque abbia a cuore non solo il rispetto dei diritti umani ma il futuro stesso delle nostre democrazie.

Come è stato possibile spendere cifre colossali, in venti anni di occupazione, per armare e addestrare un esercito che avrebbe dovuto assicurare il rispetto dei diritti più elementari dei cittadini afghani, quelli delle donne, dei minori e delle minoranze innanzitutto, almeno nelle zone sotto il controllo governativo, per poi vedere quello stesso esercito dissolversi praticamente senza opporre alcuna resistenza all’avanzata dei talebani?

Cosa diciamo ai familiari dei 53 soldati italiani morti ed alle centinaia di feriti? Come è possibile conciliare le dichiarazioni del Presidente americano Biden, che ha affermato che l’unico obiettivo della missione era sconfiggere il terrorismo, con i tante volte sbandierati obiettivi, da parte di molti governi, tra i quali tutti quelli italiani che si sono succeduti dall’inizio della occupazione militare nell’arco di un ventennio, di assicurare pace e rispetto dei diritti di donne, bambini, minoranze etnico- religiose e di orientamento sessuale?

Cosa diciamo ai tanti civili afghani che hanno creduto nella possibilità di sviluppare una società più giusta ed inclusiva, supportati dalle democrazie occidentali, che sono poi stati abbandonati al loro destino da una vera e propria fuga, diventata sempre più precipitosa col passare delle ore a seguito dell’inesorabile e fulminea avanzata dei talebani, fin dentro il palazzo presidenziale ignominiosamente abbandonato dal Presidente?

Intendiamoci, sappiamo bene che i nostri militari hanno realmente svolto una importante opera di sostegno alle popolazioni civili, rendendo possibili la costruzione di scuole ed ospedali che adesso si spera non vengano distrutti e, proprio questo, rende ancora più incomprensibile la scelta di abbandonare repentinamente il Paese.

Ma non è questa la sede per analisi, necessariamente complesse, peraltro già svolte dai più autorevoli giornalisti ed esperti di politica internazionale, alcuni dei quali ricordano gli enormi interessi economici sottesi alla produzione di droga, eroina in primis, in Afghanistan, ed alla vendita degli armamenti, due business che non hanno mai registrato crisi.

Questo è invece il momento di agire, di tentare comunque di fare qualcosa di concreto per aiutare in primis coloro che rischiano la vita restando in Afghanistan e, poi, per tentare di non abbandonare le popolazioni civili inermi.

L’assoluta gravità della situazione è testimoniata dalla mobilitazione della società civile internazionale che a tutti i livelli, nonostante il periodo delle vacanze estive, chiede con forza ai Governi di non abbandonare a loro stessi i civili inermi. Una tale indignazione e protesta non si registrava da molto, troppo tempo, speriamo davvero che sia l’inizio di un risveglio delle coscienze.

Il Consiglio nazionale forense ha chiesto formalmente che, in occasione del G20 sull’empowerment femminile, che si terrà a Santa Margherita Ligure il prossimo 26 agosto, le autorità presenti si impegnino nella creazione di corridoi umanitari internazionali per consentire alle donne afghane che ne fanno richiesta di lasciare il paese e intraprenderà strategie di condivisione di iniziative umanitarie con le associazioni che operano e sono impegnate per la salvaguardia dei diritti delle categorie a rischio e non hanno abbandonato il Paese, tra le quali Emergency e la Croce rossa, nonché con l’UNHCR e l’Osservatorio internazionale migrazioni ( OIM), con i quali ha sottoscritto protocolli di intesa. Il massimo sforzo sarà compiuto, in sinergia con il CCBE e l’OIAD per assicurare un sostegno alle avvocate ed avvocati afghani che chiedono di lasciare l’Afghanistan, al quale dovrà esser consentito di abbandonare il Paese e di fare richiesta di asilo.

L’Osservatorio degli avvocati in pericolo ( OIAD) si è attivato, a seguito dell’appello pubblicato sul Corriere della Sera del 19 agosto scorso, per l’avvocata afghana Latifa Sharifi, specializzata e impegnata nella difesa dei diritti delle donne fin dal 2009. In particolare assiste le donne vittime di violenza domestica nelle procedure di divorzio e per questo ha subito intimidazioni e minacce. Il Corriere ha pubblicato la notizia del suo incredibile ed inaccettabile respingimento all’aeroporto di Kabul, dove si era recata domenica 15 agosto col marito ed i figli nel tentativo di rifugiarsi all’estero, ed il contenuto di una lettera scritta alla sorella che vive in America, contenente una richiesta di aiuto. Le intimidazioni e le gravissime minacce di morte subite negli anni, nei confronti suoi e dei suoi familiari, l’hanno costretta ad abbandonare la propria abitazione ed a vivere in clandestinità. Per questo l’Oiad chiede che venga immediatamente concesso all’avvocata Latifa Sharifi la possibilità di lasciare l’Afghanistan, unitamente alla sua famiglia, e di richiedere asilo politico. A tal fine ha rivolto un pressante appello all’Alto commissario per la politica estera della Unione europea, al Presidente del Parlamento europeo ed ai ministri degli Esteri dei Governi francese, italiano, spagnolo e svizzero, in quanto Governi dei paesi di cui fanno parte gli ordini nazionali forensi fondatori dell’Osservatorio e component del direttivo.

* Francesco Zaia, Presidente dell’Oiad e Coordinatore della commissione diritti umani del CNF