«Monsignor Paglia ha ragione quando dice che la società in cui viviamo è sempre più egoista, ma vorrei chiarire, e spero che il messaggio sia accolto con favore, che noi non diamo forza alla società egoista, ma alle singole persone che devono avere la libertà di terminare in dignità la propria vita». Mina Welby porta avanti la sua battaglia da quando nel 2006 ha perso suo marito, Piergiorgio Welby, al quale il medico di fiducia ha staccato il ventilatore su sua richiesta. A quindici anni di distanza da quell’episodio e con la soglia di 500mila firme per il referendum sull’eutanasia ormai raggiunte, spiega al Dubbio che «ora che siamo così vicini all’obiettivo dobbiamo contare i giorni, non più i mesi». Signora Welby, cosa significano per lei le 500mila firme raccolte? Ho sempre raccolto tantissime firme nella mia storia radicale ma pensare di raccoglierne 500mila era impossibile da realizzare. Dentro di me non ci credevo, ma poi ho visto quanto bene lavorano i ragazzi e i giovani che collaborano con noi. Non abbiamo mai avuto sostegno di partiti e personaggi importanti ma appena le persone vedevano il tavolo delle raccolta firme si mettevano in fila, anche i più giovani. Anche i minorenni chiedevano di firmare ma questo chiaramente è impossibile.  Quali saranno i prossimi passi? Dobbiamo certificare tutte le firme, non ci devono essere errori. Al momento non abbiamo un grande numero di firme certificate. Ne abbiamo molte pronte ma ora bisogna cercare di organizzarci in modo che i comuni possano certificarle, anche dal punto di vista digitale, visto che si può firmare anche con lo spid. Purtroppo credo che i sistemi dei comuni non siano troppo adatti ad accogliere un grande numero di firme digitali ma staremo a vedere. Quanto l’ha sorpresa la grande mobilitazione generale che ha portato al traguardo delle 500mila firme in così poco tempo? Innanzitutto vorrei sottolineare che ci stiamo riunendo periodicamente con tutti i nostri referenti ma che non abbiamo chiesto niente a nessuno, abbiamo solo sparso la voce. Ormai ci conoscono dappertutto, quando vedo questa massa di persone che chiedono dettagli e chiarimenti sono molto stimolata e credo che siamo sulla buona strada. Ora che ci sono grandi numeri si stanno svegliando anche i personaggi contrari ma questo è logico e ci dà ancora più forza perché portano allo scoperto le persone più in difficoltà, persone che hanno avuto parenti malati o sono malati loro stessi. C’è il bisogno di esternare questa forte necessità di libertà, fino alla fine della propria vita. Vi accusano di aiutare alla morte, la discussione è sulla vita che è sempre sacra, a prescindere dalle problematiche che certe malattie comportano. Cosa risponde? Noi non vogliamo proclamare il morire, ma siamo a favore della ricerca scientifica, che deve provvedere alle buone cure, ai giusti preparati, alle giuste tecniche. Ci sono tantissime persone con gravi invalidità che poi sono peggiorate dalle barriere architettoniche, dai gradini in su. Prima di tutto noi vogliamo dare libertà di vivere. E di farlo fino alla fine. Ma quale fine? Non vogliamo una fine terribile, piena di dolori, indegna. La sua storia personale è legata a quella di suo marito Piergiorgio, morto nel 2006. Che ricordo ha di lui e del periodo di battaglia per una fine degna? Abbiamo fatto di tutto perché Piergiorgio potesse vivere al meglio, ma poi è arrivata l’insufficienza respiratoria e lui non avrebbe nemmeno voluto avere la tracheotomia, che gli è stata imposta. Infine, abbiamo fatto quello che lui chiedeva e per questo siamo stati accusati. Ma per me è stata una colpa felice,  perché da lì abbiamo iniziato la battaglia che ci ha portato qui. Piergiorgio con la lettera a Napolitano chiedeva l’eutanasia. Alla fine abbiamo trovato un medico che lo ha addormentato e lo ha lasciato morire perché non riusciva più a respirare. C’è già una legge, la 219/2017, che tutela il consenso informato e disciplina il rapporto tra medico e paziente. Cosa dovrebbe cambiare? La legge 219 non è molto conosciuta tra la gente. Non si fa informazione su questo, servirebbero dei programmi per insegnare ai cittadini come essere curate e cosa possono chiedere ai loro medici di famiglia, il cui comportamento è disciplinato dall’articolo 1 della legge. Purtroppo pochi sono i medici di famiglia che parlano con i malati. Ma serve anche il referendum perché occorre cambiare l’articolo 579 del codice penale per il quale oggi il medico, dottor Riccio, che ha aiutato Piergiorgio Welby è stato accusato di omicidio del consenziente. Noi chiediamo il cambiamento di questo articolo affinché il medico che aiuta il paziente in gravissime condizioni, maggiorenne e capace di intendere e volere, non possa essere accusato di omicidio. Nel tempo ci sono stati altri casi, come quelli di Eluana Englaro e Dj Fabo. Qual è il tratto comune che unisce queste storie? Mio marito ha chiesto di essere sollevato dal ventilatore e il medico questo ha fatto. La stessa cosa si dovrebbe poter fare per una persona come dj Fabo, che invece è andato a morire in Svizzera. Era ormai cieco e non poteva muoversi. Aveva solo il desiderio di decidere, di poter morire, di non soffrire più. Per questo motivo l’articolo 579 del codice penale deve essere modificato e spero che tante altre persone firmino. Non deve mancare una virgola in ogni firma, ci tengo molto. Crede che nei prossimi mesi il Parlamento, come chiesto dalla Corte costituzionale, possa adottare provvedimenti che vanno nella direzione da voi richiesta e che quindi rendano inutile il referendum? Al momento in Parlamento c’è un testo unico dove si parla di eutanasia e suicidio assistito, ma il referendum chiede altro. Chiede la modifica del 579 e quindi sono due cose molto differenti. Spero tuttavia che il Parlamento approvi quel testo unico e porti avanti le restanti proposte: non è una questione politica o partitica ma di libertà personale, dove ogni parlamentare decide secondo la propria coscienza. Ma ora che siamo così vicini all’obiettivo dobbiamo contare i giorni, non più i mesi. Ha fatto riferimento agli antagonisti del referendum che fanno sentire la propria voce. Qual è la sua reazione di fronte a ciò? È chiaro che ora chi è legittimamente contrario esce allo scoperto, come nel caso del Vaticano. Penso che Monsignor Paglia abbia ragione quando dice che la società in cui viviamo è sempre più egoista, ma vorrei chiarire, e spero che il messaggio sia accolto con favore, che noi non diamo forza alla società egoista, ma alle singole persone che devono avere la libertà di terminare in dignità la propria vita. Non vogliamo uccidere i bambini o le persone incapaci di intendere e volere, ci mancherebbe. Noi siamo per la vita, una vita dignitosa, fino alla fine.