Chi ha vinto, chi ha perso: è una di quelle domande che in politica non si dovrebbero fare perché, si sa, “conta solo l'interesse del Paese”, e che in realtà si fanno tutti, specialmente nel Palazzo. Non si tratta neppure di una domanda futile, perché spesso è dall'esito di uno scontro come quello che si è consumato sulla giustizia nell'ultima settimana che dipendono gli indirizzi e gli equilibri successivi, a maggior ragione in una maggioranza anomala e politicamente conflittuale come questa.

Solo che stavolta la risposta è evasiva. Non ha vinto nessuno, o se si preferisce hanno vinto un po' tutti che è più o meno lo stesso. Il M5S dovrebbe essere il grande sconfitto, essendo costretto a seppellire con il proprio stesso voto a favore la riforma che considerava il fiore all'occhiello, quella firmata dall'ex guardasigilli Alfonso Bonafede. Nel merito probabilmente è così. Dal punto di vista dei 5S, come da quello del potere togato, le modifiche che hanno permesso di raggiungere in extremis l'accordo sono solo una “limitazione del danno”. Ma la politica non è aritmetica. Avendo portato a casa l'esclusione dei reati di mafia dall'improcedibilità e un irrigidimento secco delle regole per reati estremamente discutibili, aleatori e impalpabili, come il concorso esterno o l'aggravante per mafia, Conte esce in realtà da una partita difficilissima a testa alta. È allo stesso tempo il più sconfitto e il più vincitore di tutti. La Lega, sin quasi all'ultimo, si trovava nella situazione opposta. La riforma era una sua vittoria nel merito ma politicamente la necessità per Draghi inevitabile di apportare modifiche significative prometteva di suonare come sconfitta secca per chi, letteralmente sino al penultimo giorno di trattativa si era trincerato dietro l'impossibile richiesta di lasciare intatto il primo testo Cartabia. In extremis, con una delle poche vere “mosse del cavallo” della politica italiana, Salvini se l'è cavata rovesciando il gioco: non solo ha appoggiato la richiesta di eliminare l'improcedibilità per i reati di mafia, ma ha rilanciato chiedendo di estendere l'esenzione anche alla violenza sessuale e al traffico di droga. La piroetta permette alla Lega di dichiararsi vittoriosa, se non fosse che la posizione assunta fino all'ultimo è stata invece travolta.

Non esce bene dal tritacarne neppure Marta Cartabia. Tra le mediazioni dei mesi scorsi, che hanno falcidiato le proposte sui riti alternativi, e quelle degli ultimi giorni, la sua riforma ha perso omogeneità e consequenzialità. Come spesso capita nella politica italiana, la mediazione portata a livello patologico, riesce sì a mettere d'accordo le forze politiche ma al prezzo di varare riforme monche, contraddittorie o inefficaci.

Lo stesso prezzo salato paga Mario Draghi. Voleva una «riforma condivisa», accettata da tutti senza troppe proteste, senza malumori e promesse di vendetta. La voleva in tempo per onorare il calendario con l'Europa. Ha raggiunto l'obiettivo ma pagando un prezzo alto: quello di una trattativa estenuante, col bilancino, dosando le concessioni ai diversi soggetti, indebolendo la riforma su diversi fronti, introducendo contraddizioni che senza modifiche si sarebbero potute comprendere ma, una volta messo mano al testo, diventano incomprensibili. Spiegare perché i termini della improcedibilità si dilatano anche per piccoli reati se accompagnati dall' “aggravante mafiosa” mentre i responsabili dei disastri ambientali possono usufruire dell'improcedibilità in tempi brevi non è difficile: è impossibile. Allo stesso modo la facoltà concessa al giudice di prorogare all'infinito il processo senza scatti l'improcedibilità ma con facoltà per gli avvocati della difesa di impugnare la proroga di fronte alla Cassazione è una di quelle mediazioni che rischiano di rivelarsi alla prova dei fatti un rimedio peggiore del male.

Nei prossimi mesi, al coperto del semestre bianco, con le elezioni amministrative e quelle politiche incombenti, la situazione peggiorerà. La strada imboccata con la mediazione sulla giustizia verrà battuta di nuovo con esiti esiziali. È probabile che Draghi, nella situazione data, non potesse fare altro e senza dubbio il risultato è per molti versi dal suo punto di vista amaro. Ma si tratta di una vittoria a metà.