Bar e ristornati al chiuso sono, in base ai provvedimenti che verranno adottati, luoghi più importanti e con presenze da tutelare maggiormente rispetto a quelle dei Tribunali, dove non è prevista l’esibizione di alcun green pass da parte di avvocati, magistrati, personale degli uffici e cittadini. L’avvocato Vittorio Supino ha sollevato tale questione sul nostro giornale. Le sue osservazioni e i suoi dubbi sono condivisibili e, inevitabilmente, hanno innescato il dibattito. Ne abbiamo parlato con i presidenti dei Coa di Roma (Antonino Galletti), Milano (Vinicio Nardo) e Napoli (Antonio Tafuri). In avvio di campagna vaccinale, quando le somministrazioni iniziarono a riguardare gli avvocati, alcuni pasdaran della battaglia – a parole – contro il Coronavirus si indignarono. Prima gli altri, dissero, poi gli avvocati, ignorando l’esposizione al virus di chi ogni giorno in Tribunale incontra decine di persone e, magari, riceve in studio proprio quegli stessi pasdaran della battaglia a chiacchiere contro la pandemia. «Il tema del green pass per accedere ai palazzi di Giustizia - dice Antonino Galletti, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma -, è delicato. Apre dibattiti talvolta sopra le righe, che, forse, possiamo provare a ricondurre a toni più equilibrati, appellandoci alle parole del Capo dello Stato, ricordando che la prima vera limitazione della nostra libertà, in questo anno e mezzo terribile, è stato il Coronavirus. Faccio una premessa. Sono vaccinato con doppia dose, così come i membri della mia famiglia e le persone a me più care. Purtroppo abbiamo sentito tante drammatiche storie di colleghi malati o addirittura deceduti». Galletti invita alla cautela, prima che si creino schieramenti a favore o contro il green pass per accedere ai Tribunali. «Sarei cauto nell’imporre una simile forma di controllo, soprattutto ragionando sul fatto che le ultime evidenze scientifiche sembrano dicono che il vaccino protegge eventualmente chi sceglie di farlo, ma non necessariamente impedisce a quest’ultimo di contrarre una forma più lieve del virus o di trasmetterlo ad altri. Restano tanti dubbi e incertezze. Tranne per un aspetto che come rappresentante dell’avvocatura romana mi sento di sottoscrivere. Come membro di una categoria che tutela i diritti e le libertà degli assistiti e segue i dettami della legge, sono certo che ciascun avvocato seguirà le indicazioni del legislatore in tema di green pass. A patto che le indicazioni non vengano lasciate all’improvvisazione e all’arbitrio dei singoli uffici giudiziari, tribunale che vai, lasciapassare che trovi, come accaduto troppo spesso nel corso dell’intera pandemia». Per il presidente del Coa di Milano, Vinicio Nardo, paragonare i Tribunali ai bar è inappropriato. «Un anno fa il comparto giustizia invocava la prioritaria vaccinazione per i soggetti della giurisdizione, cosa che avvenne in minima parte e non per tutti, provocando la reazione di chi riteneva illogico anteporre soggetti giovani a buona parte della popolazione anziana e vulnerabile non ancora vaccinata. L’obbligo di green pass per accedere ai tribunali è cosa completamente diversa. Allora si voleva consentire ai soli operatori professionali di svolgere in presenza le udienze e il lavoro di cancelleria. Adesso si discute del diritto di tutti, lavoratori del settore e non, di entrare in Tribunale per occupazioni che richiedono la presenza fisica. Il problema riguarda il cittadino e il suo diritto di ottenere servizi che sono dovuti alla collettività. Non si parla di accessi voluttuari, poiché in Tribunale si è obbligati a presentarsi per lavorare, per testimoniare o anche solo per ritirare un certificato. Il paragone con il bar non regge. Personalmente ho fatto il vaccino, attendendo il mio turno e prendendomi quello che mi hanno dato, Astrazeneca, per la cronaca». Nardo riflette sul profluvio di interventi in tv e sui giornali degli esperti di virus. «Ho vinto i dubbi che una certa comunicazione confusiva dei social, ma anche delle autorità sanitarie, ha seminato nella collettività. Questo non mi impedisce di essere comprensivo verso chi non lo ha ancora fatto per problemi di salute o per paura. La libertà individuale deve arrestarsi quando diventa nociva per il prossimo, per cui si può imporre la vaccinazione ai dipendenti destinati a trattare l’utenza debole come malati, anziani e minori. Tuttavia, la sua compressione deve essere limitata a casi eccezionali e solo se non possa farsi fronte altrimenti. Ad esempio, con i normali dispositivi di sicurezza. È il caso del Tribunale. Tanto più che, essendo questo la “casa dei diritti”, mi viene innaturale pensare che il cittadino possa non avere diritto di entrare». Per Antonio Tafuri, presidente del Coa di Napoli, alcune valide discussioni tendono a ridursi a scontri tra schieramenti. «La legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale e del green pass, è fuori discussione, il dibattito si sposta sul terreno politico e della condiscendenza verso le più larghe fette dei rispettivi elettorati. Occorre una seria presa d’atto che la giustizia non può andare avanti solo grazie a limitazioni di facoltà e diritti processuali, perché il processo e le sue forme di svolgimento sono l’attuazione dei diritti riconosciuti dalla legge. Se vogliamo realizzare davvero lo stato di diritto, cioè un Paese dove si rispettano le regole a tutela degli individui nell’interesse della collettività, dobbiamo tornare alla pienezza e completezza dei processi e in questo momento dovremmo essere pronti ad accettare anche nei Tribunali la richiesta del green pass, si badi bene, con la sua alternativa del tampone negativo».