Alla vigilia della prima udienza del maxi-processo Vaticano gli avvocati difensori avevano usato parole molto pesanti: «Un tribunale speciale», «una procedura penale ad hoc», «una sospensione della certezza del diritto». Riti sommari, procedimenti cautelari, violazione dellhabeas corpus, difetti di giurisdizione: gli inquirenti hanno raccolto elementi per quasi due anni di inchieste mentre la difesa ha dovuto preparare le sue richieste istruttorie in appena otto giorni senza nemmeno poter disporre di tutti gli atti, tuonano i legali chiedendo più tempo per organizzare la strategia di difesa. Poi hanno acceso una dura polemica sui rescritti del Pontefice (le richieste di azione) che, in quanto atti amministrativi, non possono derogare la legislazione vigente. Inoltre, ha sottolineato lavvocato Luigi Panella (assiste il finanziere Enrico Crasso), tre di questi rescritti papali sarebbero stati concepiti ad hoc: «Hanno introdotto procedure penali solo per questo processo, in un inedito regime di eccezione ». È il motivo per cui ha parlato, senza giri di parole, di tribunali speciali, suscitando la malcelata irritazione dellaccusa. Così gli ha risposto, un po a muso duro e con parole che lasciano perplessi lex guardasigilli italiana Paola Severino (autrice dellomonima legge), oggi avvocato di parte civile della Segreteria di Stato e di Apsa (lorganismo che amministra il patrimonio della sede apostolica), spiegando che «il Papa è unico legislatore e promotore della giustizia», ed evocando «il carattere fortemente morale del processo». Ancora più categorico e di ispirazione celeste il promotore di giustizia (di fatto un magistrato inquirente con superpoteri) Gian Piero Milano il quale vola fuori dalla cornice dello Stato di diritto spiegando che i rescritti sono «espressione della suprema potestà del Papa, la cui base è in definitiva il diritto divino». Sbagliano dunque i difensori che si aggrappano capricciosi alle tutele dei moderni Stati democratici: «Cè il rischio di travisare il valore di certi atti se li si guarda con ottica laica», conclude Milano. In effetti il rischio cè. Alla sbarra con altri nove imputati cè il cardinale Giovanni Angelo Becciu per laffaire dellacquisizione di un lussuoso palazzo palazzo a Londra, in Sloane avenue 60, costato alla Santa Sede oltre 350 milioni di euro; è accusato di peculato, abuso di ufficio in concorso e subornazione. Il grande accusatore(assieme alla lobbista Francesca Immacolata Chaouqui) si chiama Alberto Perlasca ed è un monsignore, un tempo braccio destro di Becciu. Paradossalmente i difensori non hanno avuto accesso alla trascrizione dei suoi interrogatori che costituiscono larchitrave del teorema accusatorio: «Vorremmo avere la possibilità di ascoltarli. Esiste una registrazione ma non è stata depositata agli atti. Il diritto alla difesa è stato leso in modo grave», si è lamentato lavvocato Fabio Viglione esponente del collegio difensivo di Becciu. Con spirito ecumenico e un po rintronato dalla tenacia dei legali, il presidente del tribunale vaticano e del collegio giudicante Giuseppe Pignatone, (che ha fatto allestire personalmente laula nellampia Sala multifunzionale dei musei vaticani), ha accolto le rimostranze della difesa aggiornando il processo al prossimo 5 ottobre. Più di due mesi per tentare di opporsi alla feroce macchina giudiziaria vaticana. Si annuncia dunque un processo lungo e complicato come mettono in mostra le elettriche schermaglie delle ultime ore, complicato in particolare per la difesa che, oltretevere, non dispone certamente delle stesse garanzie previste dal diritto penale italiano. «La questione è che lo Stato della Città del Vaticano è retto da un monarca assoluto. Lunico modo per cambiare la legge è che lamato SantIgnazio tocchi la mente del Papa!» ha ironizzato con amarezza Domenico Aiello, legale dellavvocato Nicola Squillace finito anche sul banco degli imputati. Insomma le premesse perché venga fatto a pezzi il giusto processo (garantito dallarticolo 111 della Costituzione della Repubblica Italiana) ci sono tutte, il corpus principale del diritto penale vaticano è infatti espressione di codici che risalgono alla fine del diciannovesimo secolo. Anche se, in teoria, qualche passo formale per adeguarsi agli standard del diritto moderno il Pontificato di Bergoglio lo aveva intrapreso nella lettera apostolica del 2013 Motu proprio che stabilisce il principio della presunzione dinnocenza fin lì sconosciuto alle aule di tribunale della Santa sede. Lo stesso papa Wojtila allinizio del suo Pontificato si era espresso per concedere più diritti degli accusati, senza poi però formalizzarli. Stesso discorso per la nozione di ragionevole durata del processo e per labolizione dellergastolo, tutte misure garantiste contenute in Motu proprio, che però nei fatti rimangono mere petizioni di principio. La sostanza purtroppo è ben diversa come dimostrano i metodi da Santa inquisizione con cui è stata portata avanti tutta linchiesta sullacquisto dellimmobile londinese. In tal senso le aperture contenute in motu proprio sembrano unopera di maquillage piuttosto che un adeguamento sostanziale della legislazione vaticana alle basi della certezza del diritto.Laccusatore Alberto Perlasca per esempio è stato graziato dai magistrati solo dopo aver tirato in ballo il cardinale Becciu in un interrogatorio surreale, privo di assistenza legale in cui avrebbe rilasciato «dichiarazioni spontanee». E in tutte le fasi delle indagini i promotori di giustizia hanno avuto mani completamente libere seguendo lantico motto del pool milanese di Mani Pulite: ti sbatto in cella per farti confessare e seminando un comprensibile panico; è quanto accaduto al broker molisano Gianluigi Torzi che si era presentato volontariamente in Vaticano per rispondere alle domande dei promotori finendo agli arresti fino a quando non ha poi denunciato gli altri imputati . In uno dei rescritti del Papa viene poi data completa discrezionalità allUfficio dei promotori che hanno potuto prendere «qualsiasi provvedimento di natura cautelare nellattività dellaccertamento dei fatti», violando in modo flagrante i fondamenti dellhabeas corpus. Quando i magistrati britannici e italiani hanno emesso i mandati di cattura gli imputati non conoscevano infatti la causa del loro arresto né tanto meno hanno avuto la possibilità di farsi assistere da un avvocato.