Quale futuro per il ruolo dell’avvocato? È stata questa la domanda che ha caratterizzato la terza sessione svolta ieri pomeriggio nel corso del congresso forense. Numerosi i contributi da parte di presidenti dei Coa ed esponenti dell’associazionismo forense, tutti concordi su un punto: l’avvocatura potrà far sentire la propria voce e incidere a livello legislativo solo cercando di continuo l’unitarietà. Senza di essa, ogni sforzo, ogni mozione, ogni discorso forbito rischia di evaporare in pochi istanti. D’altronde, la ministra della Giustizia Marta Cartabia, inaugurando all’Ergife la sessione ulteriore delle assise, ha detto che «chi non osa non ottiene».

La tavola rotonda dedicata all’ordinamento forense e allo statuto congressuale è stata aperta da Carolina Rita Scarano. La consigliera Cnf ha posto all’attenzione della platea le difficoltà, acuite dalla pandemia, per tantissimi avvocati nello svolgere ogni giorno la propria attività professionale. Difficoltà che stanno mettendo a dura prova soprattutto le fasce più deboli: avvocate e giovani legali. Il futuro dell’avvocatura, secondo Scarano, non può, ormai, più prescindere dalle specializzazioni e da una rivisitazione dell’esame di abilitazione per l’accesso. I 23mila partecipanti alle prove per diventare avvocati rappresentano un numero importante, anche se in circa duemila hanno deciso di non affrontare i colloqui. Un segnale da non sottovalutare. L’altro consigliere del Cnf che ha coordinato il dibattito, Francesco Greco, ha sostenuto che l’inefficienza del processo vede coinvolti i magistrati. «Alcuni interventi legislativi – ha rilevato Greco – ci fanno ben sperare. Penso alla legge sull’equo compenso, alla tariffa a tempo e all’atteso decreto ministeriale sull’aggiornamento dei parametri».

I lavori della sessione sono stati moderati pure da due componenti dell’Ocf, Tiziana Caraballese e Vincenzo Ciraolo. «La legge professionale», ha detto Caraballese, «richiede interventi mirati, per questo l’unitarietà dell’avvocatura è fondamentale».

Gli interventi - una decina in tutto - si sono distinti per le proposte di diverso orientamento. Gli avvocati hanno portato, da Nord a Sud, dalle grandi città alla provincia, il proprio contributo di operatori del diritto. Polemico l’intervento di Rosaria Elefante di “Nuova avvocatura democratica”, la quale ha sminuito il valore della sessione ulteriore del Congresso forense e considerato poco coinvolta l’avvocatura nella riforma della giustizia in cantiere.

Nello scorso mese di marzo il Cnf ha riconosciuto la Camera penale militare. Un nuovo organismo, ha riferito l’avvocata Saveria Mobrici, che intende essere parte attiva del lavoro corale in seno all’avvocatura. Il presidente di Movimento Forense, Antonino La Lumia, si è soffermato invece sulla indispensabilità della collaborazione di tutte le anime dell’avvocatura che si stanno dando appuntamento a Roma. «È giunto il momento – ha affermato – di gettare un seme di unità. Occorre riscoprire tre elementi indispensabili per guardare al futuro con ottimismo: consapevolezza nei nostri mezzi, fiducia e dialogo mai fine a se stesso. Dobbiamo essere consapevoli che esiste l’avvocatura, non le avvocature». Il presidente del Coa di Napoli, Antonio Tafuri, ha riflettuto sull’esigenza di un recupero della fiducia dei cittadini nella giustizia. «In questo – ha commentato – non solo gli avvocati devono impegnarsi. Un ruolo rilevante spetta ai magistrati. Siamo tutori dei diritti delle persone e dobbiamo entrare negli organismi che regolano i meccanismi della giustizia. Non è più il tempo del timore riverenziale».

Altri contributi sono giunti da Antonio De Mauro ( presidente del Coa di Lecce), Rosario Pizzino ( numero uno dell’Ordine di Catania), e Giovanni Delucca ( Coa Bologna). L’ultima riflessione l’ha offerta Lello Spoletini ( presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Roma), il quale ha rivolto un pensiero, alla luce anche delle audizioni tenute in commissione Giustizia alla Camera, «alle avvocate e ai giovani professionisti e a coloro che si apprestano a sostenere l’esame, la parte più vulnerabile dell’avvocatura: occorre un massiccio sostegno in favore delle fasce più deboli della professione. Vanno ridotte differenze reddituali che caratterizzano la nostra categoria». Un punto di vista condiviso da tanti delegati.