Nelle premesse poteva essere il congresso della rabbia, della protesta. In particolare per la riforma del processo civile, ma anche per le contorsioni politiche del penale. E invece le assise forensi appena concluse a Roma sono diventate soprattutto un’occasione identitaria sorprendente. Sì, agli atti resta il numero delle mozioni approvate, quasi sempre a larga maggioranza, dai 650 delegati presenti: 28 in tutto. Altre 17 proposte sono state accolte come raccomandazioni. In gran parte i testi votati riguardano le riforme del processo civile e penale, ma anche la giustizia tributaria, e vanno considerate le istanze delle specialistiche, per esempio il successo oltre le aspettative dell’unica mozione sottoposta all’assemblea dall’Agi, gli avvocati giuslavoristi italiani. Sul no alle preclusoni nel rito civile o sui rischi di veder limitato il diritto di difesa anche nel penale, il pressing dell’avvocatura su governo e Parlamento era già in corso: dal congresso esce certamente rafforzato. «Il vero risultato di queste assise si vedrà da qui in avanti, e riguarderà l’attuazione concreta dei nostri deliberati», sono state le ultime parole che ha pronunciato, dal palco della maxisala, Maria Masi, presidente del Cnf. Ma il vero segno distintivo della due giorni romana è la ricerca comune di unità. Ancora non se ne vedono gli effetti concreti, intendiamoci. Ma resta, in tante dichiarazioni, in  tanti interventi pronunciati ieri, nella giornata dei dibattiti, e in parte stamattina, la consapevolezza che l’avvocatura si gioca, di qui in avanti, la partita della vita. Ha l’occasione, anche per la crisi dei magistrati e il contemporaneo slancio del Piano nazionale, di ritrovarsi protagonista. Può farlo se riesce ad avere una voce unica e chiara quando serve, ma anche una polifonia intonata quando si esprime con stereofonica pluralità.

Ordinamento forense, mozioni inammissibili

Giovanni Malinconico, coordinatore Ocf, ha visto dichiarata inammissibile la mozione proposta dal suo ufficio di coordinamento che puntava a costituire un percorso di revisione dell’ordinamento forense. «Non era possibile discuterne in una sessione ulteriore», gli ha chiarito Masi dal banco di presidenza, «si tratta di una materia di assoluta importanza, condivido che vada sottoposta alla massima assise dell’avvocatura, ossia il congresso, ma deve trattarsi necessariamente di un congresso ordinario, come impone lo statuto». Se ne parlerà dunque a Lecce, con ogni probabilità nella primavera del 2022. Ma quindi siamo davanti a un nulla di fatto? Non proprio. Sempre Malinconico ieri mattina, nell’annunciare la proposta di un «nuovo patto per la giurisdizione», ha aggiunto che su tutto, dall’ordinamento giudiziario a quello interno, serve non la brusca sgommata ma il metodo dell’elaborazione condivisa. Masi, poco prima, aveva ricordato che «non è importante la gara a chi rappresenta prima degli altri le istanze, ma che l’avvocatura si faccia sentire in modo efficace».

Quegli appelli all’unità da istituzioni e associazioni

Persino da componenti più in tensione con l’assetto istituzionale come Movimento forense, dalla terza sessione di ieri pomeriggio, è venuto un appello all’unità: «Dobbiamo essere capaci di superare le distanze e trovare la sintesi», ha detto il presidente Antonio La Lumia. E andrebbero ricordati i tanti appelli dello stesso tenore venuti del presidente Antonino Galletti (Coa di Roma), da consiglieri Cnf come Francesco Napoli, dal nuovo vertice di Cassa forense Valter Militi. Certo, altre componenti associative, a cominciare dall’Anf, sono invece deluse dall’esito dei lavori: «Era impossibile pensare di poter discutere in un pomeriggio di tutte le questioni, come si è cercato di fare inutilmente ieri pomeriggio, sarebbe stato meglio concentrarsi sulle sole riforme del civile e del penale», dice il segretario dell’Associazione nazionale forense Luigi Pansini. Eppure tante voci, tanti appelli e proposte dai presidenti degli Ordini – ad esempio Antonio Tafuri di Napoli, che ha anticipato l’istanza di riforma sull’elezione degli avvocati al Csm – lasciano intuire l’urgenza di una svolta, la consapevolezza che l’avvocatura ha un peso da non sprecare, la necessità che l’enorme potenziale politico della categoria trovi una sintesi. Sarà il congresso di Lecce a dire se l’obiettivo svanirà ancora, come avvenuto altre volte. Eppure nulla è più come prima, dopo la tragedia del covid, nella politica e nelle istituzioni. E anche gli avvocati italiani sembrano saperlo benissimo.