«Chiunque si metterà di ostacolo e di traverso sulla via delle riforme, vuoi che sia Conte o Grillo o qualche corrente del Pd, avrà nella Lega un avversario». Quando pronuncia queste parole, Matteo Salvini è appena uscito da Palazzo Chigi, dove ha avuto un colloquio col presidente del Consiglio Mario Draghi. Oggetto del confronto: le riforme, a parire da quella sul processo penale. Il premier teme che la tabella di marcia promessa all’Europa in cambio del Recovery possa subire qualche battuta d’arresto e cerca rassicurazioni da tutti gli “azionisti” della sua maggioranza. In poche ore l’ex numero uno della Bce ha infatti incontrato Enrico Letta, Antonio Tajani e appunto Salvini, che mette in guardia gli alleati: «Lavoriamo con buonsenso, ho detto al presidente: la Lega c’è».

Del resto il Carroccio, che sulla Giustizia promuove parallelamente i referendum proposti dai radicali, sa perfettamente che il “lodo Cartabia” rischia di far saltare per l’ennesima volta la fragilissima tregua siglata da Beppe Grillo e Giuseppe Conte e gioca coi nervi degli alleati/ rivali. Per questo all’uscita da Palazzo Chigi Salvini dichiara «totale condivisione» col premier «su come andare avanti nei prossimi mesi». Imperativo categorico: «Correre sulle riforme, accelerare sulle riforme. Quindi riforma della giustizia da portare in Parlamento e da approvare entro l’estate», aggiunge il leader della Lega, giocando di sponda con Draghi. Sì, perché il capo del governo teme brutti scherzi da parte dei 5 Stelle, sospettati di voler tirare per le lunghe la trattativa sulla riforma Cartabia per potersi muovere a briglie sciolte a partire dal prossimo mese. Il 3 agosto, infatti, Sergio Mattarella entra nell’ultimo tratto di strada del suo mandato: il semestre bianco, il periodo in cui il Capo dello Stato perde la potestà di sciogliere le Camere. Tradotto: in caso di crisi di governo, nessuna “minaccia” di ritorno imminente alle urne potrebbe spaventare i partiti.

Un motivo in più per spingere l’ala irriducibile del Movimento, capitanata paradossalmente da Conte, e non da Grillo, a lasciare la maggioranza. E se da un punto di vista numerico un eventuale addio dei grillini non pregiudicherebbe la tenuta del governo, da un punto di vista politico produrrebbe effetti potenzialmente devastanti. Il Pd, tanto per cominciare, dovrebbe accettare di far parte di un esecutivo a trazione salvianiana, mentre la Lega si sentirebbe pienamente legittimata a imporre, o tentare di farlo, la propria agenda a Draghi. E senza la “copertura” del Quirinale lo stesso premier ne uscirebbe seriamente indebolito. In un quadro di questo tipo, difficilmente la maggioranza riuscirebbe a stare in piedi per tutto il tempo necessario a governare il processo messo in moto col Recovery.

Meglio evitare rischi, dunque, agendo per tempo, portando a casa cioè la riforma del processo penale prima dell’estate, prima del semestre bianco. In teoria l’approdo alla Camera della proposta Cartabia è previsto per il 23 luglio. E se Pd, Lega e FI sembrano intenzionati a rispettare il calendario, il Movimento chiede invece maggior tempo per costruire al meglio la riforma, modificando gli emendamenti che non sono stati in ogni caso ancora depositati.

La tempistica verrà comunque discussa dall’ufficio di presidenza della commissione Giustizia, e a giudicare da quanto dichiarato due giorni fa dal presidente grillino della Commissione, Mario Perantoni, la data del 23 luglio potrebbe essere una chimera. «Il Parlamento dovrà essere centrale, avremo molto da discutere» sulla riforma del processo penale, ha spiegato Perantoni. «Certamente il termine del 23 luglio fissato dal programma della Conferenza dei capigruppo per la discussione dell'Aula è poco realistico», ha messo in chiaro il presidente 5S della Commissione, forte anche della «preoccupazione» per la riforma manifestata da molti giuristi. E dall’Anm, che ieri si è resa ufficialmente disponibile con la ministra Cartabia per illustrare «compiutamente le ragioni» delle proprie perplessità nelle opportune sedi istituzionali» . Draghi però potrebbe decidere di “blindare” il testo, lasciando ai grillini la facoltà di scegliere tra due sole opzioni: voto contrario o astensione. La forzatura comporterebbe però delle conseguenze al momento imprevedibili, nonostante il sostegno incondizionato di Lega, Pd e Forza Italia.