Malika ( nome di fantasia) è una ragazza di ventitré anni, nata Vimercate, residente a Marsiglia dove frequenta l’università, ha la doppia cittadinanza italo- marocchina. Due anni fa aveva condiviso sul suo account facebook un calembour su una sura del Corano, per la precisione la numero 108: l’espressione Al- Kawthar ( l’abbondanza) è stata trasformata in al- Whisky”. Nulla di particolarmente incisivo, ma sufficiente a trasformare la vita di Malika in un dramma.

La giovane si trova infatti agli arresti in Marocco: l’hanno fermata lo scorso 20 giugno all’aeroporto di Marrakesh dove era andata a trovare alcuni familiari. Sulla sua testa pendeva un mandato di cattura. Trascinata in tribunale è stata condannata con un processo-lampo a tre anni e mezzo di prigione e a una multa di 4800 euro per «oltraggio alla religione musulmana», reato previsto dall’articolo 267 del codice penale marocchino. La legge prevede una reclusione fino a due anni per i crimini di blasfemia, che diventano cinque se commessi attraverso i social network o altri mezzi di diffusione pubblica.

Gli avvocati hanno chiesto l’assoluzione in quanto la ragazza non parla correntemente l’arabo e, più che un insulto, il suo commento su facebook è stato un innocente gioco di parole. Inoltre sostengono che la frase incriminata non sia stata scritta da Malika ma da un altro utente: tutto a i giudici di Marrakesh non le hanno concesso nessuna attenuante, condannandola.

Secondo il padre della ragazza, i guai sono cominciati quando un gruppo religioso integralista che monitora le attività sui social dei cittadini marocchini l’ha denunciata alle autorità. «Sono andato a visitarla in carcere, è distrutta, la sua vita si è improvvisamente spezzata, ricorreremo in appello per ribaltare questa sentenza ingiusta», ha detto l’uomo.

Del caso si sta occupando anche l’ambasciata italiana in Marocco, che lo ha definito «molto delicato».

Diversi parlamentari si sono attivati per sollecitare l’attenzione e l’intervento del governo italiano e anche dell’Unione Europea.