Scontro frontale tra l’Unione europea e l’ Ungheria sulla  legge anti-Lgbt entrata oggi in vigore che limita l’accesso dei minori alle informazioni riguardanti tematiche omosessuali e transgender. La norma vieta la diffusione di temi nei quali viene esposta una sessualità diversa dall’eterosessualità in libri, film e altre fonti di informazione alle quali possano avere accesso i minorenni. È inoltre vietata qualsiasi forma di pubblicità commerciale nella quale l’omosessualità viene equiparata all’eterosessualità. Si tratta di una legge fortemente contestata da parte dell'Unione, e la stessa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che generalmente non interviene nei dibattiti interni degli Stati membri, questa volta ha detto la propria senza giri di parole. «Questa legge ungherese è una vergogna. Ho incaricato i commissari responsabili di inviare una lettera per esprimere le nostre preoccupazioni legali prima che il disegno di legge entri in vigore. Discrimina chiaramente le persone in base al loro orientamento sessuale. Va contro i valori fondamentali dell’Unione europea: dignità umana, uguaglianza e rispetto dei diritti umani. Non scenderemo a compromessi su questi principi», ha dichiarato in conferenza stampa, alla presentazione del Pnrr belga, strappando persino un raro applauso dei giornalisti presenti. La reazione ungherese non si è fatta attendere e non è stata da meno nei toni. «La dichiarazione della presidente della Commissione europea è una vergogna perché si basa su accuse false da un’opinione politica faziosa» e non sono precedute da «un’indagine imparziale», ha scritto il governo di Budapest in una nota stampa. E in ogni caso l’iter legislativo è andato avanti. Nella serata di ieri infatti il provvedimento è stato firmato dal presidente ungherese, Janos Ader. Secondo lui la legge non contiene alcuna disposizione che determini come deve vivere una persona maggiorenne e non lede il diritto al rispetto della vita privata, determinato dalla Costituzione. La pensano diversamente diciassette Paesi membri dell’Ue, tra cui l’Italia, che ieri hanno sottoscritto una dura condanna. Hanno espresso «profonda preoccupazione per l’adozione per gli emendamenti che discriminano le persone Lgbtiq e violano il diritto alla libertà di espressione con il pretesto di proteggere i bambini». L’Italia è stata tra gli ultimi firmatari della dichiarazione congiunta ma per una questione meramente tecnica. «Il sottosegretario Enzo Amendola ha voluto sentire le ragioni dell’ Ungheria nel Consiglio affari esteri che si tenuto a Lussemburgo e quelle ragioni hanno confermato le preoccupazioni», ha spiegato una fonte diplomatica. Lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha ricordato ieri in Parlamento che l’Italia è tra i firmatari della dichiarazione. La lista comprende Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Lettonia, Grecia, Austria e Cipro. Il Portogallo manca per motivi di rispetto istituzionale, detenendo la presidenza del Consiglio Ue non ha voluto prendere una posizione politica. Ma politicamente ha assicurato la propria adesione. Nello scontro con l’ Ungheria si è inserito anche il caso dell’illuminazione con i colori arcobaleno dello stadio di Monaco dove stasera si disputa la partita Germania- Ungheria degli Europei di calcio. La Uefa non ha voluto autorizzare l’iniziativa della città tedesca per «evitare la politicizzazione». Una scelta che il vice presidente della Commissione europea, Margaritis Vestager, ha definito «incomprensibile e difficile da giustificare». Per risposta, il Parlamento europeo ha esposto la bandiera arcobaleno. «Sono profondamente preoccupato perla legislazione ungherese sui diritti delle persone Lgbti. Questa legge viola seriamente i valori che difendiamo in Europa», ha commentato il premier olandese Mark Rutte tagliando corto: «Secondo me, non c’è più posto nell’Ue per l’Ungheria».  «Ma non sono l’unico a deciderlo, ce ne sono altri 26», ha aggiunto riferendosi agli altri capi di Stato e di Governo. Da parte sua Orban  ha difeso la legge spiegando che «difende i diritti dei bambini e dei genitori. Non si tratta di omosessualità». E anzi ha accusato i leader europei di «non averla letta». Orban ha rivendicato poi di essere «un combattente per la libertà» e di aver «combattuto per la libertà durante il regime comunista». «Io difendo i diritti degli omosessuali ma questa legge non riguarda gli omosessuali, riguarda le famiglie. È su come i genitori vogliono che venga trattata l’educazione sessuale dei propri figli», ha aggiunto.