Iniziamo da oggi, e con la testimonianza che leggete di seguito, a pubblicare le lettere e le storie segnalateci dai lettori, innanzitutto dagli avvocati, sui disservizi della giustizia e i disagi causati alla professione. Potete scriverne a dilloaldubbio@ildubbio.news. Caro Direttore, si sente parlare nelle aule del Parlamento e nei salotti buoni televisivi di giustizia rapida, di giustizia veloce e si ascoltano proclami di riforme atte a velocizzare i procedimenti stanganti nelle cancellerie dei nostri tribunali e uffici dei giudici di pace. Ne sento parlare da quando presi in mano per la prima volta un codice di procedura civile e panale nel 1992. Ne sento parlare da quando nel 2001 mi sono abilitato alla professione di avvocato. Siamo arrivati al 2021 e le sirene sono sempre le stesse. Eppure parrebbe essere cambiata almeno una generazione di politici. Ma la ancillare (per loro) questione giustizia non è stata risolta. Non si vuole risolvere. O non vi è convenienza a risolverla. Oltretutto quando si tratta di mala giustizia fa colpo parlare del penale, ma la giustizia civile incide su un più ampio settore della popolazione e del tessuto economico. Ma fa meno scalpore. Anni fa si parlava nel processo civile (io ho a che fare con questo e di questo posso parlare) di oralità e di orientare la procedura sul modello del processo del lavoro, caratterizzato dalla necessità di una procedura veloce, con atti difensivi immediati in cui occorre prendere fin da subito una posizione. È vero che mal si adatta alla tutela di altri diritti, più tecnici, ove è necessaria una maggior ponderazione ed analisi non solo fattuale ma di diritto. Poi vi è stato il guizzo della particolare procedura nelle controversie di diritto societario, che comportava un meccanismo complesso di scambi di memorie scritte. Poco pratico. Molto macchinoso. Più di recente ci si è inventati il procedimento sommario di cognizione. Personalmente, lo trovo interessante, se non fosse che i tempi vengono interamente gestiti dagli uffici giudiziari e non garantiscono la immaginata celerità, anche perché spesso il rito viene trasformato in ordinario. Adesso la nuova idea di riforma prevede un ampliamento delle adr (alternative dispute resolution). Mediazione, negoziazione, arbitrato. Tre strumenti che (per così dire) poco affascinano il mondo dell’avvocatura. Preciso che io invece li trovo interessanti perché se utilizzati in modo intelligente possono essere fonte di guadagno per gli avvocati e una risoluzione per chi vuole ottenere un risultato veloce e utile. Ma non è certo così per chi voglia ottenere giustizia. Senza considerare che se resi obbligatori comportano un costo ulteriore, una ulteriore perdita di tempo. Questa lunga premessa per raccontare un grave caso di disservizio della giustizia e denegata giustizia. Correva l’anno 2013 allorché in un tribunale calabrese venivano iniziate una serie di controversie per una occupazione di un terreno, in cui si discute di usucapione, di restituzione, di rilascio. Nel frattempo uno dei clienti (ormai centenario) muore così come l’avvocato che lo assisteva, che mi lascia in eredità la causa. Siamo arrivati al 2021, dopo avere tenuto per ciascuna circa 4 udienze per così dire “operative”, due anche per testi, inframezzate da una serie infinita di rinvii, l’ultimo la settimana scorsa dove le due cause erano state fissate per la famigerata precisazione delle conclusioni. Ma sorpresa! Un nuovo rinvio: al maggio 2022. Motivo? Sempre lo stesso: cambio di giudice (il sesto se non ho perso il conto). Forse non ne vedrò la fine. Ma soprattutto la mia assistita (superstite che già programma di istruire il figlio per la prosecuzione del giudizio) non può rientrare nel possesso del suo terreno, mentre chi lo occupa ne ha il godimento indisturbato. Ma veniamo al Nord, ai giudici di pace. Nella mia città il Covid ha dato il colpo di grazia. Sotto numero. Privi di una direzione. Cause iscritte a ottobre devono ancora essere confermate per l’udienza. Ricorsi per multe depositati e non notificate, con conseguenze immaginabili. Cause tenute a riserva nel 2019 e sentenza emesse nel 2021. Queste in passato erano eccezioni, ma dal momento che non sono episodi ascrivibili a singoli giudici, ma malfunzionamento sistematico di un ufficio, la cosa assume proporzioni di gravità indiscutibili. Ovvio che una situazione del genere non si può risolvere con una mediazione (ci abbiamo ovviamente provato, obbligatoriamente) o una negoziazione assistita (occorre trovare un accordo, non una rinuncia al diritto). Occorre incidere sull’organizzazione degli uffici giudiziari. Ora mi chiedo se il problema della giustizia sia imputabile alle procedure o non piuttosto alla assenza (o scarsità, i due concetti sono semanticamente diversi) dei giudici e alla loro de-responsabilizzazione. Non so più dare una risposta. Firmato un avvocato del Foro di Genova