Alla fine la colpa è sempre la loro, degli avvocati. È quanto trapela, al di là dei passaggi condivisibili, dal comunicato della procura di Verbania, che nel deprecare la pubblicazione del filmato della tragedia della funivia del Mottarone, tra le righe (ma nemmeno troppo) attribuisce la questione allostensione dei filmati estrapolati dal sistema di videosorveglianza anche alle difese. Filmati di cui le difese erano in possesso sin dal 26 maggio - poco dopo la tragedia -, ma che sono stati diffusi solo recentemente, tramite una ripresa effettuata da un cellulare che il Tg3 attribuisce ad un esponente dellArma dei Carabinieri. A mettere i puntini sulle i sono i difensori dei tre indagati - Gabriele Tadini, difeso da Marcello Perillo, Enrico Perocchio, difeso da Andrea Da Prato, e il gestore Luigi Nerini, difeso da Pasquale Pantano. «Il comunicato stampa della procura della Repubblica di Verbania - si legge in una nota - è condivisibile quanto allo sdegno dovuto allillegittima circolazione del video che riprende la tragedia della funivia. Tuttavia non possiamo sottacere che tutto il comunicato attribuisce, neppure velatamente, la divulgazione di quelle immagini agli indagati e, per essi, ai loro difensori. Il reiterato accenno al diritto degli indagati ampiamente esercitato di prendere visione degli atti; al divieto di pubblicazione benché non più coperti dal segreto con la chiosa che la conoscenza degli atti da parte dei difensori non significa autorizzare ed avallare lindiscriminata divulgazione agli organi di stampa non lascia dubbi: sono stati i difensori». Affermazioni gravi, specie dopo una campagna di spettacolarizzazione che di certo non deriva dagli indagati. I quali, affermano le difese, «sono gli ultimi ad avere interesse alla diffusione di quel video che, nella sua drammaticità, è sicuramente rappresentativo dellipotesi accusatoria. Le difese, dunque, già toccate per lanomala sostituzione del gip (tema passato in secondo piano dopo la diffusione del video, ndr), respingono con forza quellaccusa certamente diffamatoria se non calunniosa ed invitano gli inquirenti, a ristabilire un clima di serena dialettica evitando apodittiche e maliziose illazioni. Tanto era dovuto nella fervida speranza che cali il sipario mediatico e ci si dedichi definitivamente alle indagini», conclude la nota. Una precisazione dovuta, dopo aver assistito alla giustificazione mediatica del pericolo di fuga: bisognava tenerli in carcere, secondo laccusa, perché levento aveva avuto troppa risonanza. La gip Donatella Banci Buonamici si oppose. Cosè accaduto dopo è storia.