«Quelle immagini non erano state portate a conoscenza dei familiari», dice con mestizia, in un comunicato secco ma efficace, la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi. Immagini che durano poco più di un minuto: la cabina che sale, sembra essere arrivata a destinazione, ma poi scivola velocemente verso giù e cade nel vuoto. E dentro, visibili, le 15 persone che sono precipitate giù, 14 delle quali hanno perso la vita. Un’immagine drammatica che tutti, mentalmente, avevamo ricostruito dopo il resoconto giornalistico della tragedia della strage della funivia del Mottarone. Ma oggi alla descrizione si aggiunge qualcosa di più: il video, pubblicato in esclusiva dal Tg3 e rilanciato da tutte le testate, in una sorta di corsa alla condivisione per non rimanere indietro su nulla. Ma inaspettatamente, forse, i commenti indignati da parte degli utenti social dei canali di ognuna delle testate che hanno fatto questa scelta si sono moltiplicati in un pochi secondi. Da lì ne è partita un’altra di corsa: quella a giustificare la propria iniziativa, spiegata con l’obbligo di informare. «Ecco perché abbiamo pubblicato quel video», si legge ovunque, «le immagini sono più potenti di mille parole», si aggiunge qui e lì, «nessuna delle vittime è identificabile», si prosegue. Parole che hanno il gusto di una giustificazione che, comunque, fa acqua da tutte le parti. Ma è Bossi a spiegare quanto fuori luogo, se non illegittimo, sia stato pubblicare quelle immagini, che qualcuno, però, deve pur aver consegnato ai giornalisti. Le immagini sono state estrapolate dall’impianto di videosorveglianza della funivia e messe a disposizione delle parti già a fine maggio scorso, all’atto della richiesta di convalida del fermo e di applicazione di misura cautelare. «Si tratta, tuttavia, di immagini di cui, ai sensi dell’articolo 114 comma 2 c.p.p., è comunque vietata la pubblicazione, anche parziale, trattandosi di atti che, benché non più coperti dal segreto in quanto noti agli indagati, sono relativi a procedimento in fase di indagini preliminari», spiega la procuratrice. Ma se non bastasse la legge - i giornali non si sono mai fatti problemi, d’altronde, a pubblicare qualsiasi cosa, anche se coperta dal più vincolante dei segreti -, c’è una questione etica che avrebbe dovuto spingere le testate coinvolte ad aspettare un attimo. È sempre Bossi - che pure ha "mediatizzato" più di chiunque altro l'inchiesta, arrivando a fondare sulla «risonanza internazionale» e soprattutto mediatica della vicenda il pericolo di fuga dei tre indagati - a spiegare il perché. «Ancor più del dato normativo - si legge in una nota della procura -, mi preme sottolineare la assoluta inopportunità della pubblicazione di tali riprese, che ritraggono gli ultimi drammatici istanti di vita dei passeggeri della funivia precipitata il 23 maggio scorso sul Mottarone, per il doveroso rispetto che tutti, parti processuali, inquirenti e organi di informazione, siamo tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie, al cordoglio di una intera comunità». Poi la stoccata - fuori luogo - agli avvocati, quasi come se i responsabili di questa diffusione impropria fossero loro: «Portare a conoscenza degli indagati e dei loro difensori (che chiaramente nessun interesse avrebbero però a diffondere alcunché, ndr) gli atti del procedimento a loro carico nelle fasi processuali in cui ciò è previsto, non significa, per ciò stesso, autorizzare ed avallare l’indiscriminata divulgazione del loro contenuto agli organi di informazione, soprattutto, come in questo caso, in cui si tratti di immagini dal fortissimo impatto emotivo, oltretutto mai portate a conoscenza neppure dei familiari delle vittime, la cui sofferenza, come è di intuitiva comprensione, non può e non deve essere ulteriormente acuita da iniziative come questa».