Dopo molto tempo, molti mesi di semiparalisi, gli avvocati confidano di poter riprendere la loro attività ai ritmi precovid. Ma, di qui ai prossimi anni, potrebbe trattarsi di un’attività professionale in parte diversa. Non migliore o peggiore, difficile da dire se più o meno remunerativa del passato. Sarà in ogni caso diversa e quindi legata a molte incognite, soprattutto in settori delicati e particolarmente connessi con la ripresa economica, con l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Il discorso riguarderà dunque l’ambito amministrativistico, per le opere e i servizi pubblici che saranno assegnati in quantità maggiore, e per il diritto delle imprese. E questo perché anche la parte esecutiva dei contratti si annuncia nuova e imprevedibile. «Sia con il decreto Semplificazioni dello scorso anno, il Dl 76, sia con il Dl 77/2021 da poco emanato, e noto come decreto Governance, è stata affievolita, per il giudice amministrativo, la possibilità di incidere sui contratti per appalti e servizi stipulati dalle pubbliche amministrazioni con i privati. Prima per le gare legate all’emergenza covid e in generale fino al 31 dicembre 2021, poi con estensione fino tutto il 2023» ricorda il presidente di sezione del Consiglio di Stato Raffaele Greco. «Lo si fa in nome dell’idea secondo cui il controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni rallenterebbe l’economia. Credo che noi magistrati e gli avvocati siamo d’accordo nel ritenere che una tutela ridotta non sia nell’interesse neppure delle imprese. Un contratto che continua a dispiegare i propri effetti nonostante un Tar ne abbia riconosciuto l’illegittimità sembra contrastare innanzitutto con il buon funzionamento dell’amministrazione», spiega il presidente Greco al Dubbio, «ma anche con quel modello di crescita che l’Europa si aspetta dal nostro Paese, basato sui principi di correttezza e trasparenza. Ecco, a me pare che non si consideri con attenzione tale aspettativa. E che anzi si rischi di vedere alcune delle norme cosiddette semplificatorie introdotte negli ultimi mesi finire dinanzi alla Corte di giustizia dell’Ue». Certo, non è detto che l’impossibilità di far “cadere” un contratto pubblico per opere o servizi riduca il numero di ricorsi al giudice amministrativo e il lavoro dell’avvocato in generale. Non guarda a un’eventuale contrazione dell’attività, la consigliera Cnf Isabella Stoppani, che nella massima istituzione dell’avvocatura è anche coordinatrice della commissione Diritto amministrativo: «Di fronte a un contratto che, pur dichiarato illegittimo, non può più essere travolto dalla decisione del giudice, si aprirebbero ipotesi di ulteriori contenziosi. Alcune attività difensive potrebbero dirottarsi dall’ambito amministrativistico a quello ordinario. Ma dal punto di vista delle istituzioni forensi non sembra questo il cuore della questione: piuttosto», spiega Stoppani, «non possiamo tacere sul rischio che si arrechino danni alla collettività, innanzitutto. Già sono stati eliminati diversi controlli interni alle amministrazioni, per esempio quelli preventivi del Coreco, ora si rischia di limitare l’accesso materiale alla giurisdizione, e in ultima analisi di favorire il malcostume, sotto varie forme. Di sicuro, la tutela dei cittadini è garantita fino a quando lo è l’accesso alla giustizia. Ogni scorciatoia viola gli articoli 24 e 111 della Costituzione e danneggia tutti. Credo sia questa la considerazione da fare». Stefano Bigolaro, consigliere dell’Unione nazionale amministrativisti e presidente dell’Associazione veneta, ribadisce a propria volta come le prevista «monetizzazione della tutela», cioè «la possibilità per chi è illegittimamente escluso da una gara o da un contratto, di ottenere almeno un risarcimento, non si possa mettere sullo stesso piano dell’effetto caducatorio di una sentenza del Tar. Con le nuove norme, le opere e le forniture di servizi appaltate dalle Pa ai privati andranno avanti anche se la procedura è stata dichiarata illegittima da un giudice, ad esempio perché l’impresa vincitrice era priva dei requisiti. Se un avvocato può dire al proprio assistito “abbiamo buone possibilità di ottenere la riassegnazione dell’opera”, è un conto. Altro è potergli prefigurare solo un esito risarcitorio. Innanzitutto perché quell’imprenditore nel frattempo non lavora, e la prospettiva del ristoro economico è spesso incerta e lontana. Inoltre», fa notare Bigolaro, «se l’illegittimità dipende non solo da un errore della stazione appaltante ma anche da una specifica condotta del privato aggiudicatario, l’azione contro quest’ultimo dovrà essere necessariamente avviata dinanzi al giudice ordinario. Avremo magari due procedimenti paralleli con due diversi magistrati e tutti i problemi legati alla necessità che si parlino fra loro». Semplificare non porterà via lavoro per gli avvocati. Non si profila insomma un’avvocatura che, di fronte agli anni della grande ripresa, dell’attuazione del Pnrr, finisce ai margini. Ma certo cambieranno molti paradigmi. E potrebbero profilarsi situazioni più confuse, come spiegano Greco, Stoppani e Bigolaro. Ed è un paradosso perché, nel campo della giustizia, l’Unione europea ci chiede, con la maggiore velocità dei processi, anche la maggiore prevedibilità del loro esito. Non è detto sia così, e anzi sembrano esserci molti presupposti perché avvenga il contrario.