Camilla Canepa, diciott’anni, aveva ricevuto il vaccino il 25 maggio nel corso di un Open Day a Genova. Il 3 giugno era andata una prima volta in pronto soccorso con cefalea e fotofobia: era stata sottoposta a Tac e esame neurologico, entrambi negativi, ed era stata dimessa con raccomandazione di ripetere gli esami del sangue dopo 15 giorni. Il 5 giugno, però, è tornata in pronto soccorso con deficit motori. Sottoposta a Tac cerebrale “con esito emorragico” era stata trasferita nel reparto di Neurochirurgia. Il 6 giugno Camilla era stata operata dapprima per la rimozione del trombo e poi per ridurre la pressione intracranica. Nei giorni successivi la situazione in rianimazione era però rimasta tragicamente stabile. Ieri è morta. Alle 19.18 le agenzie di stampa battevano la notizia della morte di Camilla. Alle 20.21, sempre sulle agenzie, giungeva la notizia della circolare dell’Assessorato regionale alla Salute della Regione siciliana con cui si disponeva l’immediata sospensione in via cautelativa del vaccino Astrazeneca per i pazienti sotto i 60 anni. Le Regioni che avevano puntato su Astrazeneca per organizzare gli open day aperti ai giovani vanno nel caos: un previsto open day con AZ viene revocato a Napoli; sospensione “precauzionale” anche in Umbria; l'Usl della Valle d'Aosta decide allo stesso modo; anche il Lazio sospende l'open week agli over 18 con AZ; in Emilia-Romagna gli Open Day già programmati si faranno solo con la somministrazione di Pfizer e Moderna. Il ministro della Salute Roberto Speranza, rispondendo al question time al Senato, ricordava come oltre due mesi fa, lo scorso 7 aprile il ministero, con una circolare, avesse «già raccomandato l’uso preferenziale del vaccino AZ agli over-60 e Aifa (l’Agenzia del farmaco) ha ribadito che il profilo beneficio-rischio è più favorevole all’aumento dell’età». Il presidente della Liguria Giovanni Toti dichiara: «La possibilità di utilizzare AstraZeneca per tutti su base volontaria non è un'invenzione delle Regioni o di qualche dottor Stranamore; è suggerimento che arriva dai massimi organi tecnico-scientifici per aumentare le vaccinazioni, e quindi evitare più morti». E pubblica sulla pagina istituzionale Facebook la lettera inviata il 12 maggio dal Comitato tecnico-scientifico alle Regioni: «Il Cts non rileva motivi ostativi a che vengano organizzate dalle differenti realtà regionali iniziative, quali i vaccination day, mirate a offrire, in seguito ad adesione/richiesta volontaria, i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni». Oggi sappiamo che Camilla soffriva di piastrinopenia autoimmune familiare e assumeva una doppia terapia ormonale. Ma l’8 giugno a Genova era emerso il caso di un’altra giovane, una donna di 34 anni di Alassio vaccinata lo scorso 27 maggio con la prima dose di AstraZeneca e ricoverata presso l'Ospedale Policlinico San Martino di Genova con un livello basso di piastrine nel sangue: si era recata all'ospedale per il forte mal di testa. E il 4 aprile scorso era morta, sempre a Genova, una giovane insegnante genovese di 32 anni, che era stata vaccinata con AstraZeneca il 22 marzo nel corso della campagna vaccinale per i docenti e l'autopsia aveva confermato un quadro "trombotico ed emorragico cerebrale" come causa del decesso. In Liguria, viene sospeso in via cautelativa il lotto ABX1506 di AstraZeneca. Il Comitato tecnico-scientifico opta per una raccomandazione «rafforzata» di utilizzare il vaccino di Astrazeneca per i soggetti con più di 60 anni. Gli esperti pensano a una riorganizzazione complessiva della campagna vaccinale, quindi anche della somministrazione delle diverse tipologie di vaccino a seconda delle età, alla luce del mutato quadro epidemiologico. Improvvisamente, siamo gettati di nuovo nello smarrimento, e ritorna la diffidenza. L’accelerazione che si era imposta nella vaccinazione di massa che “saltava” ormai la progressione dell’età (a Torino, un Open night hub con tanto di dj set e mille giovani in fila tra musica disco e fiale di vaccino) improvvisamente si blocca. Dobbiamo tornare a ripensare tutto. La scienza ha compiuto un miracolo, ma è stato un miracolo troppo veloce. La ricerca ha bisogno di tempo, ha bisogno di sperimentazione, ha bisogno di ripetere più e più volte nelle stesse condizioni un esperimento e verificare che i risultati siano sempre i medesimi, ha bisogno di cogliere gli effetti collaterali, provare a ridurli, e solo allora può fare un calcolo rischi-benefici. La scienza ha bisogno di dati e statistiche – ma gli uni e le altre significano tempo. E noi tempo non ne avevamo. Noi avevamo capito presto quello che sapevamo da sempre: nell’irrompere del contagio, l’unica cosa che può fermarlo è il confinamento. Chiudere tutto. Era successo nella Grande peste, nelle ricorrenti infezioni da colera, nella Spagnola: sprangare, limitare ogni movimento. Se non c’è mobilità, se non c’è socialità, i focolai rimangono isolati e il contagio non si diffonde. Dal Medio evo a oggi – questa era l’unica consapevolezza “scientifica”. Una misura politica cioè. Qualcosa che rispondeva istintivamente al nostro terrore. Sapevamo però pure che sarebbe stato impossibile “chiudere il mondo” per un tempo indefinito e l’unica risposta scientifica che avevamo era il vaccino. Il vaccino ci avrebbe permesso di tornare alla normalità, alle fabbriche, agli uffici, agli amici, al ristorante, alla vita quotidiana. Il vaccino avrebbe fatto il miracolo. Così, appena si è scoperto un vaccino ci abbiamo dato dentro – il “modello cinese” che tutti guardavamo con ammirazione, cioè la capacità di “confinare” intere aree geografiche senza che neanche uno spillo ne uscisse, lasciava il posto al “modello inglese” e al “modello israeliano”: quelli sì, che vaccinavano come treni. Progressivamente, anche i più riottosi se ne andavano convincendo, magari con qualche incentivo: negli Stati uniti si festeggiava la prima vincita di un milione di dollari alla “lotteria dei vaccinati”, Vax-a-Million, con un’impennata di vaccinazioni del 94 percento tra i 16 e 17 anni, del 46 percento tra i 18 e 19 anni; in Israele ti davano una pizza gratis se ti facevi vaccinare; sempre negli Stati uniti addirittura si davano spinelli: “Joints for jabs”, la campagna di successo, Ohio, New York, Maryland, Oregon e Colorado. Alla fine, anche le diffidenze più ostili, le diffidenze più ideologiche, sembravano vacillare sotto i colpi degli “incentivi”, dei premi. Tornava l’obbedienza: vuoi andare all’estero, hai prenotato per la Spagna, le Seychelles? Vaccinati. Un’intera ultima classe di un Istituto superiore di Treviso si vaccinava tutta insieme perché aveva deciso di trascorrere tutta insieme le vacanze dopo l’esame di stato a Mykonos. Improvvisamente, la vaccinazione tra i giovani diventa compulsiva. Qualcuno si fa prendere la mano: vacciniamo i bambini dagli otto ai dodici anni, così torneranno a scuola tranquilli. Gli “esperti” ovviamente, si dividono subito, tra chi è largamente favorevole, tra chi è ostinatamente contrario, tra chi cambia idea a seconda del talk-show in cui si presenta e viene consultato. Se ci sono ancora fasce di over 60 e addirittura 0ver 80 che non sono stati raggiunti dalla campagna di vaccinazione – e i numeri dei decessi benché tendano a diminuire sono ancora lì – perché correre a inseguire i più piccoli con la siringa in mano? A tutt’oggi, del vaccino non sappiamo propriamente tutto: “l’elastico” dei giorni di copertura e di attesa tra una dose e l’altra e se un vaccino vale l’altro è una di queste cose. Siamo in piena “rolling review”, una revisione continua – cioè facciamo la valutazione scientifica del funzionamento del vaccino proprio mentre pratichiamo la vaccinazione di massa. Forse non avevamo altra strada. Ma saperlo dovrebbe farci sempre prudenti.