«C’è una piccola finestra di opportunità. Ma piccola davvero». Ugo Intini, testimone di una grande tradizione politica, quella socialista, stritolata dalla “epopea” di Mani pulite, si serve di un’espressione ricorrente, in questi giorni, a proposito di riforma della giustizia: molti, innanzitutto nel Pd, dicono che la concomitanza fra unità nazionale e figure come Marta Cartabia offre appunto un’irripetibile “finestra di opportunità” per riforme su processi e magistratura altrimenti impensabili.

Intini però attribuisce l’occasione a una contingenza in particolare. «In Italia», è la sua premessa, «esiste una radicata e chissà se mai superabile egemonia della magistratura: ha radici profonde, nei primi decenni della Repubblica. Ora la politica può avere qualche chances di riscossa, ma non è facile perché non c’è consapevolezza della nostra diversità. Di quanto l’Italia sia fuori dal normale riguardo al peso politico dei magistrati».

Perché parla di anormalità?

A parte le democrazie in cui la magistratura è elettiva, in quale altro Paese i partiti candidano giudici? Inutile elencare i casi a sinistra, ma quanto avviene a Napoli mostra come la destra sia altrettanto priva di consapevolezza. Ha mai visto in Germania magistrati entrare in politica? C’è stato un caso in Spagna, Garçon: l’hanno espulso.

Certo è che la politica non sembra pronta a riappropriarsi del primato.

Ho scritto più volte, dal 93 in poi, che alla politica italiana è successo qualcosa di simile a quanto avvenuto in quella turca, che fu messa sotto tutela da una burocrazia occhiuta: i militari. I magistrati di trent’anni fa sono stati i nostri militari turchi.

Ma sono appunto passati trent’anni, no?

E le sembra migliorata, la situazione. Sì, ora c’è una novità: i militari turchi si son messi a litigare tra loro.

Si riferisce alla crisi della magistratura?

Sì, e il conflitto ha aperto alla politica spazi che prima non c’erano.

Allora è ottimista!

Non proprio. Da noi è difficile che si possa assistere a una storia di riscatto. Intanto perché la fuoriuscita della magistratura dal proprio ruolo risale a qualche decennio fa, diciamo mezzo secolo.

Davvero prima del 93 era la stessa cosa?

Aspetti. Nella parte in cui prevedeva il Csm, la Costituzione fu attuata grazie a socialisti, ma nel 64 Nenni già scriveva: “L’indipendenza della magistratura va assumendo forme che fanno di quest’ultima il solo vero potere, un potere insindacabile, incontrollabile e, a volte, irresponsabile. C’è da battere le mani se finalmente qualcuno affronta la mafia del malcostume. Ma c’è anche da chiedersi chi controlla i controllori”. Lo disse dopo che il presidente del Comitato per l’energia nucleare, Felice Ippolito, fu arrestato con accuse miserabili. Così fu distrutta sul nascere l’industria nucleare italiana.

E c’è chi sostiene tuttora che la magistratura violi il proprio perimetro quando si occupa di politica industriale, come avvenuto con l’Ilva o con l’Eni.

Nel 74 Nenni scrisse un’altra cosa, a proposito della magistratura: “L’abbiamo voluta indipendente e ha finito per abusare del potere che esercita. Per di più, è divisa in gruppi e gruppetti peggio dei partiti”. Aveva previsto tutto. Parliamo di quasi 50 anni fa, e la situazione non fa che peggiorare.

Intanto la politica della prima Repubblica ce l’aveva eccome, il primato: perché non può tornare?

Proprio a inizio anni 70 il Pci iniziò a insediarsi all’interno dell’ordine giudiziario come in altri settori della società civile con associazioni cosiddette democratiche. C’era Psichiatria democratica come ci fu Magistratura democratica. È un passaggio decisivo da cui parte la violazione di quei limiti, oggi del tutto saltati.

L’idea di una magistratura che orienti il corso della storia nacque lì e ce l’abbiamo ancora davanti?

Sì, con la cosiddetta magistratura democratica si volle affermare un’interpretazione evolutiva del diritto. La legge andava intesa alla luce degli obiettivi politici. “È la fonte di ogni tirannia”, fece notare Federico Mancini su Mondoperaio, e citò un famoso componente della Corte Suprema Usa secondo cui il magistrato non difende cause ma giudica cause. Invece da noi le difendevano, e ancora pretendono di farlo. Poi scusi, ma davvero la storia non dovrebbe autorizzarmi a essere pessimista? Craxi chiamò Vassalli, il più grande giurista italiano, eroe della Resistenza. Gli affidò la riforma della giustizia. Ma nemmeno Vassalli è riuscito a cambiare il corso degli eventi. Figuriamoci.

Lei dice che abbiamo perso il senso del limite.

Innanzitutto, il sistema politico, per reagire, deve essere inattaccabile. E invece sono tutti attaccabili. E poi certo, è saltato il senso del limite.

Md oggi è la corrente più consapevole dell’urgenza di un riequilibrio fra poteri che argini il populismo.

Non può che far piacere. Arginare demagogia e populismo è una necessità che chiama in causa tutti gli ambiti, incluso quello giudiziario. Ma nella società le ventate di demagogia sono al limite dell’inarrestabile, e incontrano la totale passività di destra e sinistra. Qualcuno si è opposto alla riduzione del numero dei parlamentari? Certo, ora anche la magistratura soffre di queste ventate.

Se prevale il populismo anticasta, le persone di spessore continueranno a lasciare la politica a chi è meno preparato, per evitare di infangarsi.

Prima a fare la differenza, anche rispetto alla qualità della classe dirigente, erano i partiti. Con la loro autorevolezza, sapevano conferire credibilità anche a chi ne era privo. Oggi i partiti non ci sono. D’altronde l’Italia è un Paese con una vocazione democratica piuttosto fragile: il fascismo, un Partito comunista arrivato, unico caso d’Occidente, al 36 per cento...

Ma neppure una magistratura divenuta così debole può riaprire la partita?

Sì, i... militari turchi si sono divisi. Si possono creare chances insperate per la politica. Vediamo. L’irruzione delle polarizzazioni politiche è, per i corpi burocratici, sempre un fattore divisivo. Vediamo se la politica propriamente detta saprà approfittarne. E se il Paese ritroverà il senso del limite. Anche se, ricordiamolo, poi in Turchia è arrivato Erdogan.

(Dall’archivio de Il Dubbio, 10 giugno, 2021)