Sui licenziamenti non ci sorprende la posizione dell’Europa. In effetti è perfettamente coerente con quanto ha detto e fatto di sbagliato sinora, e che poi è stato attuato dai nostri governi in modo pedissequo, se possibile peggiorando le cose. Ecco perché anche questa volta non ci meravigliamo del recente intervento della Commissione. Sembra encomiabile la preoccupazione secondo cui il perdurare del blocco dei licenziamenti rischierebbe di diventare controproducente, giacché ostacolerebbe il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali. Ma, appunto, sembra: in realtà non lo è e non lo sarà finché non sarà declinata in modo compiuto e logico. L’adeguamento potrebbe essere riferito sia alla quantità che alla “qualità” delle forze lavoro di cui abbisognano le aziende. Ma  se il tutto  si ridurrà, anche se solo temporaneamente, per lo più a una riduzione del personale, così come riteniamo avverrà,  considerata la situazione occupazionale  che vive il nostro Paese, non potranno che esserci  effetti devastanti. Viste le percentuali dell’occupazione giovanile, è plausibile pensare che percentualmente la maggior parte di coloro che rischiano il “taglio” sia costituita da lavoratori “grandi”, se non ultrasessantenni”? Abbiamo forse dimenticato che l’età di pensionamento è attualmente fissata a 67 anni?  Che cosa si vuole disegnare per il futuro di decine di migliaia di lavoratori e di lavoratrici? Un lungo e  difficile periodo  con inevitabili penalizzazioni economiche  previste dall’assistenza a carico della collettività, e con le conseguenti e facilmente immaginabili drammatiche conseguenze? O davvero si pensa  che quel lavoratore licenziato di 60 anni e oltre possa davvero rientrare in azienda dopo il periodo di cassa integrazione  o di disoccupazione? E il discorso torna sempre lì: era indispensabile portare l’età di pensionamento a 67 anni e oltre, così com’è stato fatto? Era indispensabile introdurre il sistema di calcolo contributivo del quale  i lavoratori già sentono i risultati negativi? Non si trattava e non si tratta di provvedimenti equi: hanno letteralmente “congelato” il necessario ricambio nel mondo del lavoro. Erano dannosi per il Paese e i risultati si vedono. Anche noi, come fatto in passato, auspichiamo una proroga più lunga, ma è chiaro che prima poi lo sblocco ci sarà. Quindi  occorre intervenire sul sistema previdenziale: si dia ai lavoratori la possibilità di andare in pensione rimuovendo le attuali regole, si faciliti l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani. Si può fare e si deve fare, con buona pace di quanti continuano a lanciare allarmi sulla spesa pensionistica senza considerare che se non si rilancia l’occupazione dei giovani, se non si danno certezze agli anziani, se non si incrementano i consumi, ben presto qualsiasi prestazione pensionistica sarà insostenibile. O davvero si spera che il Paese possa ripartire con centinaia  di migliaia di lavoratori anziani che temono per il loro posto di lavoro, per il futuro loro e delle loro famiglie, e con giovani disoccupati o sottopagati? *Segretario generale della Cisal