Alla fine la soluzione è salomonica. Enrico Michetti, il nome voluto da Giorgia Meloni che nella capitale dà le carte, sarà il candidato sindaco del centrodestra. Simonetta Matone, la magistrata sponsorizzata da Fi e Lega, sarà in tandem, come vicensidaca. Gli azzurri hanno rinunciato a bloccare la corsa dell'amministrativista spinto dalla leader di FdI in cambio del semaforo verde a un forzista, quasi certamente Occhiuto, per la Calabria. Il prezzo della estenuante trattativa prolungatasi per mesi e conclusa con una formula attenta molto più agli equilibri interni alla destra che non alla necessità di conquistare Roma, è aver bruciato il vantaggio di cui l'opposizione disponeva a Roma e aver sacrificato buona parte delle chances di vittoria. Sul fronte altrettanto rovente della federazione la situazione non è più rosea. Salvini propone la federazione tra i due partiti della destra interni alla maggioranza di Draghi. Berlusconi rilancia azzardando l'unificazione. Il leghista suggerisce di non correre troppo. Il Cavaliere si attacca al telefono per impetrare i buoni uffici dell'amico Ignazio La Russa con sorella Giorgia: deve convincerla a far entrare anche il suo partito nella federazione e meglio sarebbe se nel partitone unico. Che però sta all'opposizione e anche se l'Italia è il più fantasioso tra i laboratori politici planetari un partito metà al governo metà all'opposizione sembra un po' troppo persino per il belpaese. Meloni si smarca e dal momento che il quadro attuale le garantisce puntuali dividendi nei sondaggi ogni settimana non si capisce, dal suo punto di vista, perché dovrebbe fare altrimenti. Fedriga, presidente leghista del Friuli e della Conferenza delle Regioni, però non demorde: tutti insieme nella federazione. Anche se ci sono volute settimane e sforzi estenuanti per quadrare il cerchio al Copasir. Per ottenere cioè che il partito di Fedriga, ottemperando alla legge, mollasse la presidenza al partito che Fedriga vuole vicinissimo se non proprio fuso con il suo. Intanto le formazioni minori nate dalla diaspora forzista respingono ogni invito federativo. Grazie ma preferiamo mantenere intatta la possibilità di spolpare un bel po' di carne azzurra. La realtà nuda è che nel XXI secolo la destra italiana non è mai stata tanto divisa, belligerante, con ogni soggetto, i piccoli e i piccolissimi non meno di quelli più grossi, troppo impegnato nei calcoli privati di bottega per preoccuparsi d'altro. Fosse solo questione di divisioni ed egoismi partitici la situazione sarebbe ancora recuperabile. Il quadro è però più fosco perché oltre che divise le formazioni della destra sono anche in stato di belligeranza sotterranea ma permanente. Non si tratta solo di pensare ai riempire i propri forzieri elettorali ma anche di svuotare quelli degli altri auspicando il travaso. Lo fanno un po' tutti. FdI, ricambiata, con la Lega. La Lega con Fi. Le pattuglie ex forziste con la ex casamadre. Dal 1994 a oggi il polo di destra è stato travagliato da molte altre crisi, da separazioni e lacerazioni, scontri e conflitti, nessuno dei quali paragonabili alla crisi in corso per due diverse ragioni. In primo luogo si trattava allora di conflitti aperti e conclamati: quello tra Berlusconi e Bossi negli anni '90, quello tra Berlusconi e Fini del 2011, le numerose anche se meno fragorose tensioni e separazioni con i centristi. Stavolta invece tutto si svolge al coperto di un ipocrita manto di unitaria cordialità. Ma soprattutto quelli erano scontri comunque almeno in parte politici. Nascevano da visioni discordi su punti di massimo rilievo come la giustizia, il federalismo e la politica anche se non mancavano affatto, come in politica non mancano mai, anche i più crudi equilibri di potere. Ora la politica è stata invece messa da parte. I punti di divaricazione, che pure ci sono, rappresentano l'ultimo e il più facilmente resolubile dei problemi. Il guaio sono solo gli equilibri di potere e lo scontro tra boiardi per conquistare il trono vacante, oppure per conservare o aumentare il proprio peso specifico.L'origine del problema che può costare alla destra l'intera posta è lì: in una monarchia franata senza lasciare successione, esposta dunque a una inevitabile guerra per la corona. La crisi estrema della destra, perché di questo si tratta anche se nessuno lo dice apertamente, ha le stesse fattezze che hanno distinto la stessa destra dal 1994 in poi: quelle di Silvio Berlusconi. O meglio, in questo caso, della sua progressiva ma ineluttabile uscita di scena senza alcuna eredità