Il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, sulle recenti indagini contro i sindaci spiega che «se ci sono pm in giro per l’Italia che indagano quattro o cinque volte un primo cittadino e finisce sempre con il non luogo a procedere, con l’archiviazione o con l’assoluzione, una conseguenza dovrà pur esserci». Sindaco Pizzarotti, a mente fredda che idea si è fatto dell’indagine sulla sindaca di Crema? Il fatto di Crema è stato così paradossale che ha reso evidente ciò che in altre occasioni lo era già. Senza entrare nel dettaglio della scuola di Crema, il tema generale era la porta, che secondo l’accusa doveva avere presupposti di sicurezza diversi da quelli che aveva. Ma se il sindaco avesse voluto intervenire, avrebbe potuto comunque essere indagata perché avrebbe potuto usare impropriamente il suo potere, non essendoci motivi di urgenza. Come fai, sbagli. Quali garanzie dovrebbero essere fornite a sindaci per evitare conseguenze del genere? Tutti i sindaci hanno sempre detto che nessuno di noi vuole avere un lasciapassare che lo sottragga dalle proprie responsabilità, ma queste devono essere conseguenti alle potenzialità della figura del sindaco. È necessario poi che non ci sia discrezionalità delle procure, perché questa renderebbe tutto molto complesso. Cioè? A volte vengono indagati i dirigenti, in altri casi gli assessori, in altri i sindaci, in base al gusto di chi sta indagando. Se c’è una catena delle responsabilità e delle azioni si deve poter seguire in ogni occasione. Non credo sia naturale che ogni volta sia a discrezione dell’inquirente. Faccio un esempio che mi riguarda. Sono stato indagato per disastro colposo per i fatti dell’alluvione del 2014, quando l’acqua aveva invaso anche altri comuni, i cui sindaci però non sono stati indagati. Io lo sono stato semplicemente perché Parma era la più grande città colpita e si trova a valle, ma non mi sembra questo un canone per prendere decisioni diverse sui singoli. Servono canoni oggettivi e non soggettivi. Si dice che per evitare casi come quello di Crema «bisogna cambiare le leggi». In che modo? Non sono un giurista e non entro nella questione, ma la paura della firma, tante volte citata da Draghi, è un tema che esiste. Sono le procedure a dover cambiare. Il sindaco firma ogni giorno decine di documenti sui quali non ha la competenza personale per sapere se sono giusti o sbagliati e così si fida del proprio assessore o funzionario. Se ci sono i visti di correttezza amministrativa ed economica la firma del sindaco è un atto politico, ma un atto politico non può avere conseguenze di responsabilità giuridica. É per tutti questi motivi che oggi nessuno o quasi vuol fare più il sindaco? É un tema molto soggettivo. Sicuramente il lavoro del sindaco è uno dei più belli, perché lo fai per la tua comunità con l’orgoglio della città dove tendenzialmente sei nato e vissuto. Puoi prendere decisioni efficaci in poco tempo, se hai le risorse economiche, e questo lo differenzia ad esempio dal consigliere regionale o dal parlamentare. Al tempo stesso, a differenza di come lo può pensare il comune cittadino, più il comune è piccolo più il sindaco è a contatto diretto con i vari problemi. Nell’immaginario medio del cittadino forse non è chiaro quali siano i contorni entro i quali il sindaco, a fatica, si muove. Molti sindaci delle grandi città hanno a proprio carico delle indagini pendenti. Crede che l’operato della magistratura rischia di imbrigliare il lavoro dei primi cittadini? Il tema giudiziario è sempre più rilevante. Potremmo citare i casi di Appendino e Raggi, ma sono tanti i sindaci che hanno inciampi giudiziari che poi nella stragrande maggioranza finiscono nel nulla. Ed è per questo che chi ha una propria credibilità magari rinuncia a candidarsi. Non è bello vedere sul giornale locale della città il proprio nome con la dicitura «indagato» e doverlo spiegare ai propri familiari e amici. Io, ad esempio, spendo duemila euro all’anno di assicurazione sulla cause civili e penali. A volte, poi, finisce male. Come nel caso dell’ex rettore dell’università di Parma. Esatto. Il nostro ex rettore, persona straordinaria, si è suicidato nel 2018 a causa di un procedimento che oggi, anni dopo la sua scomparsa, si è chiuso con un nulla di fatto per tutti. Il fattore di interpretazione e di peso personale non può essere sorvolato. Bisognerebbe poi anche entrare nel filone della separazione delle carriere e della responsabilità dei magistrati. Entriamoci, visto che sono questioni di grande attualità. Tra le due questioni, quella che riguarda più da vicino le indagini sui sindaci è la responsabilità civile dei magistrati. Se ci sono pm in giro per l’Italia che ti indagano quattro o cinque volte e finisce sempre con il non luogo a procedere, con l’archiviazione o con l’assoluzione una conseguenza dovrà pur esserci. Come viene chiamato in causa il medico o il sindaco che sbaglia, così deve esserlo il magistrato che sbaglia. È un tema che è stato lasciato troppo alla destra, perché la sinistra non ha mai avuto il coraggio di affrontare in maniera sana il tema delle riforme della giustizia, necessarie per adeguare il sistema con ciò che accade in Europa. Crede che le scuse di Di Maio all’ex sindaco di Lodi siano un segnale del fatto che il giustizialismo è ormai stato messo in soffitta o andrebbero contestualizzate nell’attuale scenario politico? La mia interpretazione è che si tratta di opportunismo politico. Prima c’erano la gogna mediatica e il giustizialismo, oggi si va verso un’immagine moderata del Movimento 5 stelle con e grazie a Conte, e per farlo anche i toni devono essere quelli di un centro moderato, che difende fino a giudizio definitivo chi è accusato o indagato. Era opportunismo politico all’epoca, perché faceva audience urlare contro i politici che rango tuti corrotti, e lo è oggi, perché essendo al governo fa comodo dare un’immagine diversa. Oggi essere garantisti conviene a tutti. Penso però che la mancanza di coerenza spinga le persone sempre più lontano dalla politica, e questo lascia l’amaro in bocca.