Le riforme in Parlamento, che sono «coraggiose e concrete», arriveranno ben prima che si possa votare il referendum voluto da Radicali e Lega, mentre i quesiti referendari sono «piuttosto confusi su alcuni punti». È questa l’idea di Anna Rossomando, vicepresidente dem del Senato, che al Dubbio spiega gli emendamenti alla riforma del Csm depositati ieri e raccoglie la proposta di Goffredo Bettini laddove afferma di non lasciare i temi del garantismo in mano al Carroccio. «Sono d’accordo: occorre aprire una discussione franca e sincera su cosa è stato il dibattito sulla giustizia - spiega -, ma questi referendum non aiutano questa discussione».

Qual è l’idea del Pd per cambiare volto al Csm?

Partiamo dal fatto che la riforma della legge elettorale è una parte e non la più significativa, vogliamo rafforzare i principi costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Se vogliamo contrastare gli effetti negativi e deplorevoli del correntismo e di una lotta del potere per il potere bisogna fare alcune modifiche. Innanzitutto bisogna dire stop alle nomine a pacchetto per i dirigenti degli uffici: devono avvenire in un rigoroso ordine cronologico e magari vanno decise anche due mesi prima della scadenza. Poi proponiamo che tra i criteri di valutazione della professionalità dei magistrati, sia pm sia giudicanti, si introduca anche il parametro delle smentite processuali delle ipotesi accusatorie. Naturalmente parliamo di dati macroscopici: bisogna salvaguardare, come elemento di democrazia liberale e di garantismo, il fatto che possano essere fatte delle inchieste anche considerate ‘ difficili’. Tale emendamento va collegato al fatto che nella riforma del processo penale proponiamo, tra i criteri in base ai quali il pm deve chiedere l’archiviazione, di non chiedere il rinvio a giudizio se non c’è una ragionevole certezza di ottenere una condanna.

Che ruolo giocheranno gli avvocati nei Consigli giudiziari?

I nostri emendamenti chiedono che avvocati e professori presenti nei Consigli giudiziari abbiano diritto di intervento e di voto sulle deliberazioni che riguardano le valutazioni di professionalità dei magistrati. E che ci sia anche la presenza del presidente del Consiglio dell’Ordine, che è garanzia di autorevolezza e indipendenza, oltre ad avere una veste istituzionale. Inoltre proponiamo che i componenti dell’ufficio studi e i segretari del Csm, che oggi sono nominati solo tra i magistrati, vengano scelti per concorso, aperto anche ai non magistrati. L’aspetto importante è quello di ovviare a un sistema che rischia di essere troppo chiuso.

L’elezione dei componenti del plenum come dovrebbe avvenire?

A Costituzione invariata possiamo prevedere che il plenum non venga eletto tutto insieme, ma modularmente: l’articolo 104 della Costituzione non parla dell’intero organismo, ma dei componenti. Il vantaggio sarebbe quello di impedire che ci si irrigidisca su accordi precostituiti. Ovviamente non c’è nessuna soluzione che, presa da sola, risolva. Credo sia necessario ritrovare una spinta ideale ed etica. Un conto sono il correntismo e i suoi effetti degenerativi, un altro il pluralismo delle idee. Ho l’impressione che in quest’ultimo periodo sia mancato quel dibattito vivace che è sempre stato foriero di passi in avanti. Importante, per noi, è anche favorire la parità di genere: proponiamo che, nel caso ci siano due preferenze, siano necessariamente di sesso diverso.

Qual è la proposta per quanto riguarda la legge elettorale?

L’importante è trovare un equilibrio tra la rappresentanza territoriale e il pluralismo delle idee. Pensiamo a 13 collegi uninominali per i giudicanti e cinque per i requirenti, poi un unico collegio per i magistrati delle funzioni di legittimità, senza alterare l’equilibrio numerico tra funzioni. E si esclude il sorteggio: sarebbe come alzare le mani e arrendersi.

Tra i problemi sollevati negli ultimi tempi c’è anche quello della spettacolarizzazione delle inchieste. Che soluzioni proponete? Lo stop alle conferenze stampa e il passaggio a una comunicazione sobria da parte dei dirigenti degli uffici, come peraltro avviene già in diverse procure. Riteniamo giusto che l’opinione pubblica venga informata, ma deve essere fatto evitando la spettacolarizzazione.

È prevista quale modifica per i procedimenti disciplinari?

C’è un’idea a cui teniamo molto, ma va attuata attraverso una legge costituzionale. Depositeremo la prossima settimana una proposta per l’istituzione di un’Alta Corte, competente in grado d’appello, per i giudizi sul disciplinare per tutte le magistrature, ordinaria, amministrativa e contabile. Credo che sia coerente con quello che già è contenuto nella riforma. Il modello di riferimento è quello della Corte costituzionale e auspichiamo che ci sia la convergenza di tutte le forze politiche presenti in Parlamento.

I Radicali, assieme alla Lega, hanno presentato un quesito referendario sulla separazione delle carriere. È un progetto che il Pd intende abbracciare?

Si tratterebbe, intanto, di una legge costituzionale. Il referendum in realtà non prevede la separazione delle carriere, ma abolisce tutta la normativa sulla separazione delle funzioni. Non è un tabù parlarne, ma moltiplicare i Csm non è la risposta più adeguata all’eccessivo protagonismo delle procure. Il tema va affrontato, ma bisogna valutare quale sia lo strumento più adeguato.

Il problema che molti pongono è l’appiattimento dei giudici sulle tesi dei pm.

Questo tema c’è, alcune norme sono già nella riforma del processo penale. È lo stesso punto che affrontiamo con lo scoraggiamento del processo mediatico, perché noi pensiamo che i processi debbano svolgersi nei tribunali, con tutte le garanzie. E nelle riforme che stiamo facendo le garanzie ci sono, come ad esempio con il controllo del giudice sulle iscrizioni sul registro delle notizie di reato. Sicuramente il referendum non sposta di molto la questione, da questo punto di vista.

Bettini ha esortato la sinistra a riflettere sull’opportunità di non lasciare la battaglia garantista alla Lega. Raccogliete questo invito?

Le riforme verranno approvate prima dell’estate. Il referendum, invece, ha tempi più lunghi: i quesiti devono essere valutati dalla Cassazione, poi dalla Corte costituzionale, infine si indice il referendum. Le riforme sono molto più nette e chiare di questi quesiti: alcuni sono confusi, altri riguardano cose già previste dai nostri emendamenti, come quello del ruolo degli avvocati nei Consigli giudiziari. Inoltre mi sembra una sfiducia al ruolo del Parlamento e anche una delegittimazione del ruolo delle Commissioni volute da Cartabia. Bettini ha detto una cosa, però, su cui sono d’accordo: occorre aprire una discussione franca e sincera su cosa è stato il dibattito sulla giustizia di questi ultimi 20 anni ed è giusto che la sinistra faccia questa discussione. Il presupposto è superare le contrapposizioni e il conflitto per il conflitto sulla giustizia. E adesso siamo nelle condizioni per farlo, con uno strumento in più: le risorse economiche, che non è cosa da poco. E anche un clima diverso in Parlamento. Mi risulta inspiegabile come la Lega preferisca altre strade. Ovviamente il referendum è uno straordinario strumento di democrazia. Non c’è dubbio e lo sarà sempre. Però, visto che parliamo di garantismo, siamo sicuri che sia lo strumento che sta più nella cultura delle garanzie per parlare di riforme della giustizia? Questo lo chiedo ai garantisti, quelli veri.

Il referendum prevede anche di limitare il carcere preventivo ai soli reati gravi.

Non so se Salvini ha letto bene la proposta: già nella scorsa legislatura avevamo approvato una modifica della custodia cautelare in senso più garantista, la Lega votò contro. Quindi la Lega è sempre quella che dice ‘ bisogna marcire in galera’ e che si è sempre smarcata sulla riforma dell’ordinamento penitenziario? Penso che prevalga l’idea propagandistica, la strumentalità. Ma siamo chiamati alla responsabilità in questo momento. C’è una maggioranza composta da forze che la pensano diversamente, ma non si sta discutendo di interventi al ribasso. Io ho massima fiducia nei colleghi della Lega, non capisco perché non ce l’abbia il loro segretario.