Non bastava l'iniziativa della Lega a sostegno dei referendum radicali sulla giustizia a mandare in fibrillazione la maggioranza. Ora ci si mette anche il Pd, o una parte di esso, a promuovere la consultazione popolare sul tema più sensibile in casa grillina: la giustizia. E per quanto il leader della Lega, che ieri ha depositato in Cassazione i sei quesiti, si ostini a ripetere che il referendum non danneggerà il governo, ma al contrario aiuterà Mario Draghi a uscire da un imbuto parlamentare, mettendo «in mano ai cittadini» riforme altrimenti irrealizzabili, il problema degli equilibri in maggioranza si pone, eccome. Soprattutto adesso che Goffredo Bettini, membro della direzione nazionale del Pd ed ex maitre à penser di Nicola Zingaretti, ha aperto una falla tra i dem, rompendo implicitamente l'asse col M5S, di cui pure è stato primo teorizzatore, come fa notare ironicamente Italia viva. Con una lettera al Foglio, Bettini viola il tabù del referendum a sinistra. A titolo «personale», senza chiamare alle armi l'intero partito, ovviamente, l'esponente dem invita il centrosinistra ad aprire una riflessione sul tema giustizia, anche alla luce degli ultimi episodi di cronaca. «In troppe occasioni il selvaggio chiasso attorno alle indagini che hanno riguardato tanti rappresentanti politici e di governo, ha portato a linciaggi personali che poi si sono risolti nel nulla, in assoluzioni che non hanno minimamente ripagato le sofferenze di chi è stato messo alla gogna», spiega Bettini.«È toccato a tutti, da una parte e dall'altra dello schieramento politico», argomenta l'influente ex eurodeputato, portando a titolo desempio i casi eclatanti di Antonio Bassolino (19 procedimenti e 19 assoluzioni), Virginia Raggi e Filippo Penati. Ma non solo, perché Bettini mette sotto la lente anche alcune la «congruità di certe condanne», come quella recentissima inflitta a Nichi Vendola, «un vero galantuomo», o quella comminata a Gianni Alemanno, «un avversario politico, non un criminale». E anche alla luce di questi episodi, Bettini dice non poter rimanere indifferente «ai quesiti referendari», invitando una «sinistra innovativa, democratica e libertaria» ad aprire un confronto franco. Obiettivo: sottrarre alla Lega, «che amava esibire il cappio nelle aule parlamentari», un tema delicatissimo oggi impugnato «un po' pelosamente». L'esponente dem, pur nutrendo qualche dubbio sul primo quesito referendario, quello sulla responsabilità civile dei magistrati, che potrebbe togliere serenità ai giudici, promuove sostanzialmente gli altri cinque referendum: separazione delle carriere dei magistrati, limitazioni agli abusi della custodia cautelare, abrogazione della legge Severino, abrogazione della norma che obbliga gli aspiranti consiglieri del Csm a raccogliere firme per candidarsi, lintroduzione del diritto di voto per avvocati e professori allinterno dei Consigli giudiziari. Per il Movimento 5 Stelle, che col presidente della commissione Giustizia della Camera, Mario Perantoni, aveva già liquidato il referendum come «arma di distrazione», la fuga in avanti di Bettini potrebbe essere un colpo basso. Soprattutto perché proprio sulla riforma della giustizia, e in particolare della prescrizione, i grillini rischiano limplosione. E lapertura di un nuovo fronte, con lalleato del Pd, potrebbe non giovare alla serenità pentastellata e del governo di conseguenza. Una volta abbattuto largine, infatti, tra i dem comincia a farsi largo lidea che il referendum possa trasformarsi in strumento di pressione politica. In special modo tra chi, pur distante da Bettini, pensa di poter utilizzare i quesiti per allentare labbraccio tra Letta e Conte. «Il referendum può essere certamente uno strumento molto utile», dice Andrea Marcucci, esponente di Base riformista e per nulla tifoso dellalleanza giallo-rossa. «Mi resta incomprensibile il sostegno della Lega di Salvini, le cui radici sono molto lontane da me, e risalgono al famoso cappio», aggiunge Marcucci. E per quanto Franco Mirabelli e Andrea Bazoli, rispettivamente capigruppo dem in Commissione Giustizia di Senato e Camera, provino a riportare tutti sulla retta via (le riforme si fanno in Parlamento, non nelle urne) il rischio che altri pezzi del Pd possano seguire lesempio di Bettini resta alto. Una grana in più per Draghi e Marta Cartabia, già alle prese con una mediazione apparentemente impossibile proprio sulla giustizia.