Salvini che sale sul carro? Che afferra il tram della grande tradizione referendaria radicale e ci va sopra all’ultimo secondo con sprezzo della coerenza? Scordatevi questa immagine: semplicemente non è vero. La Lega ha contribuito fattivamente col Partito radicale alla stesura materiale dei 6 quesiti sulla giustizia. Il discorso vale anche per il referendum relativo alla “Equa valutazione dei magistrati”, per citare il titolo scelto dai promotori. Come ricordato sul Dubbio del 2 giugno, si tratta in realtà di un quesito “chirurgico”, con cui si chiede di abrogare una norma riguardante sì le carriere delle toghe, ma in particolare il diritto degli avvocati di votare su quelle carriere. Ebbene, la proposta non era inizialmente contemplata dal progetto dei radicali: è stato il Carroccio a metterla sul tavolo, e il partito di Marco Pannella si è detto subito d’accordo. Quel Referendum che può colpire il correntismo  Andiamo con ordine. Intanto domani le proposte abrogative saranno depositate in Cassazione: oltre al voto degli avvocati, riguardano la separazione delle funzioni fra giudici e pm, le firme per le candidature dei togati al Csm, la responsabilità civile diretta dei magistrati, l’abuso della custodia cautelare e la legge Severino. Vale la pena però di soffermarsi sul quesito che istituirebbe il ruolo attivo della professione forense negli “scatti di carriera” delle toghe. Non si tratta del diritto di voto al Csm, dove ovviamente ai laici, cioè ai consiglieri avvocati e professori, è già riconosciuto. Il referendum modifica il funzionamento dei Consigli giudiziari. E lì, in questi organi ausiliari del Csm istituiti in ciascun distretto di Corte d’appello, che si mettono ai voti documenti in cui si esprime un parere sulla professionalità di ciascun magistrato. Il Csm è tenuto ad acquisire tali pareri e a considerarli come base di partenza per decidere se quel giudice o quel pm può superare positivamente la valutazione periodica, e ottenere così uno scatto di carriera, con tanto di avanzamento retributivo. Il punto è che, pensate un po’, proprio quando si tratta di esprimersi sulla professionalità delle toghe, nei Consigli giudiziari non è attualmente previsto il diritto di voto per avvocati e professori. Eppure i rappresentanti del Foro, in particolare, costituirebbero la controparte tecnica che meglio potrebbe attestare l’adeguatezza professionale di un magistrato. E invece l’avvocatura non può esprimersi in modo diretto. In una dozzina dei 26 Consigli giudiziari italiani, i laici sono tuttora obbligati, per statuto, addirittura a lasciare la sala della riunione, quando si discute sulle valutazioni di professionalità. Il sesto referendum del Partito radicale e della Lega punta dunque ad abrogare la norma che, nei cosiddetti “mini Csm”, nega il diritto di voto ai laici in quelle particolari discussioni. Se invece quel voto sarà introdotto, il parere sulla professionalità di ciascun magistrato dovrà attestare il pronunciamento sfavorevole dell’avvocato. Sarà assai più difficile per le correnti, in quei casi, imporre una promozione a occhi chiusi nel plenum del Csm. E forse si potrebbe assistere a percentuali meno bulgare di valutazioni positive: oggi siamo a 99 ogni 100. In tanti scopriranno il peso istituzionale del Foro Né si può tacere un fatto. Il diritto di voto per gli avvocati sulle carriere dei magistrati ha un grande valore simbolico. Lo sa bene il Cnf, la massima istituzione dell’avvocatura, che si batte da anni per questa modifica. Lo sanno, a dire il vero, anche i partiti che, a Montecitorio, hanno inserito proposte sul voto dei laici nei Consigli giudiziari fra gli emendamenti alla riforma del Csm. Proprio domani scade il termine per depositare quelle proposte di modifica. E certo, il via libera alla norma, voluta sia dal Pd che da Forza Italia, potrebbe arrivare ben prima dei referendum. Ma in ogni caso la convergenza fra consultazione popolare ed emendamenti al ddl contribuisce a enfatizzare il ruolo dell’avvocatura nell’ordinamento giudiziario. I quesiti, in particolare, arriveranno a una moltitudine di elettori, che scopriranno dettagli normativi sulla funzione istituzionale dell’avvocatura sconosciuti ai più. Un ruolo che colpirà l’opinione pubblica, in attesa di vie d’uscita dalle degenerazioni del correntismo, e dalla vicenda che si è voluto ridurre alle colpe del solo Palamara. Forse per la prima volta il ruolo istituzionale della professione forense sarà visibile alla maggioranza dei cittadini. Di certo è la prima volta che su quel ruolo si indice un referendum. Una svolta non da poco. La campagna sui quesiti, poi (forse) i decreti del ddl  E non si può trascurare un aspetto: seppure fossero approvati gli emendamenti sul voto agli avvocati inseriti nella riforma, seppure le cose andassero come Pd e Forza Italia si augurano, il referendum non verrebbe meno. Gli emendamenti in arrivo nella commissione Giustizia della Camera infatti intervengono su un testo che è pur sempre una legge delega. Le norme della riforma, nella loro quasi totalità, saranno in vigore non con l’approvazione dei ddl delega, ma con l’entrata in vigore dei decreti legislativi, che la ministra della giustizia Marta Cartabia potrebbe essere chiamata a emanare verso l’inizio del 2022. Domani quesiti di radicali e Lega, come detto, saranno in Cassazione. A inizio luglio potrà partire la raccolta delle firme, che andranno consegnate alla Suprema Corte il 30 settembre. Entro metà dicembre la stessa Cassazione si pronuncerà sulla regolarità delle firme raccolte, e per metà gennaio 2022 i quesiti saranno vagliati in ultima istanza dalla Corte costituzionale. Che si voti davvero o no su quel singolo quesito, in ogni caso molti italiani nel frattempo avranno avuto modo di scoprire, grazie alla campagna referendaria, che gli avvocati non hanno solo una funzione tecnica nel processo ma anche un ruolo istituzionale nell’ordinamento della giustizia. Una piccola rivoluzione che, senza l’iniziativa di Partito radicale e Lega, non sarebbe possibile.