È stato persino lirico, Marco Travaglio, che ne fu sicuramente e meritatamente amico, oltre che estimatore, come tantissimi altri a sinistra e a destra, in tutti i sensi, a descrivere gli ultimi anni e momenti di Franco Battiato, finalmente libero con la morte da tutti i lacci e limiti di una vita troppo angusta per contenere uno come lui: un pazzo di Dio e un genio, come lo ha felicemente definito Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Battiato si è liberato anche da quella specie di camicia di forza in cui da morto mi è sembrato di vederlo, magari a torto, nella rappresentazione quasi scenografica fattane nel salotto televisivo di Lilli Gruber, riproponendone la partecipazione a una festa del Fatto Quotidiano, in pur simpatica esibizione canora con lo stesso Travaglio, intonato a dovere e comprensibilmente commosso nel rivedersi e risentirsi. Direi persino spiazzato dalla generosità della conduttrice. Ma ancora più spiazzato poi, nel collegamento dal suo ufficio, dalla collega del Sole 24 Ore Lina Palmerini. Che di tutte le cose dette in vita da Battiato ha preferito ricordare e condividere, parolacce a parte, quel Parlamento di troie sfuggitogli quando era anche assessore alla Cultura della giunta regionale siciliana. Da cui si affrettò a dimettersi, avendo capito di averla detta troppo grossa per far finta di niente, lasciando nei guai lamico presidente Rosario Crocetta. Il quale, intervistato da Repubblica, ha assicurato di non avere fatto alcuna pressione per strappargli quelle dimissioni. E gli credo, permettendomi di avere di Battiato più considerazione, stima e ammirazione di quanti adesso lo piangono manipolandone spirito, idee, fantasia, poesia e musica. Capita purtroppo ai morti di essere persino casualmente abusati, o traditi, ancor più che da vivi, per la loro irrimediabile incapacità di difendersi. Addio Francuzzo, come ti chiamavano gli amici, a cominciare naturalmente da Travaglio.