«Io inviterei a guardare alla sostanza di quanto è accaduto, più che alla forma. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la vita quotidiana di una Procura sa che è prassi costante che un sostituto, soprattutto nei frangenti più delicati, senta il bisogno di trovare un momento di conforto e di condivisione da parte di colleghi che ritiene più preparati e che considera un punto di riferimento. È questo che credo sia avvenuto tra Storari e Davigo». Lo afferma Luca Palamara, ex magistrato ed ex componente del Csm, in unintervista a Il Giornale sul caso dei verbali di Piero Amara, lex avvocato esterno di Eni che ha parlato ai magistrati della presunta loggia massonica "Ungheria". La prima commissione del Csm, continua l'ex capo dell'Anm, «è competente su tutte le problematiche interne agli uffici giudiziari: quando a un pm viene tolta una inchiesta, o anche quando, come in questo caso è innegabile, ci sono contrasti interni». Per Palamara «ci sono colleghi che a un certo punto di una indagine sentono la necessità di confrontarsi, soprattutto se sono fortemente convinti di essere dalla parte della verità. Storari lo ha fatto con un collega non solo più esperto ma che ricopriva un ruolo istituzionale». Le procure, continua, «in genere pensano che il Csm sia un colabrodo e si tengono strette le notizie fin quando possono. Nel mio caso, tra la mia iscrizione nel registro degli indagati e la comunicazione al Consiglio sono passati sei mesi». Su Piercamillo Davigo «non parlo perché non so ancora cosa abbia fatto di quei verbali». «Purtroppo spesso le informazioni vengono usate per colpire avversari», sottolinea l'ex magistrato ieri sera a Non è larena su La7. «Il caso di Di Matteo dimostra che chi non ha fatto parte del mondo delle correnti della magistratura riesce ad avere una visuale diversa da quella degli altri e può diventare una sorta di valore aggiunto - dice Palamara - Lui ha voluto andare fino in fondo per andare a vedere la verità». In studio da Massimo Giletti anche il presidente della commissione antimafia Nicola Morra che ribadisce la sua versione: «Piercamillo Davigo mi invitò a uscire dal suo studio e mi ha mostrato i verbali nella tromba delle scale a Palazzo dei Marescialli. Mi è stato mostrato un faldone di carte stampate. Ma Davigo mi ha mostrato solo il nome di Ardita». «Con le elezioni dellultimo Csm - dice Morra - cera stato un importante successo di Autonomia e Indipendenza, la corrente fondata da Davigo e in cui cera anche Sebastiano Ardita. Con questa operazione "diabolica" si è incrinato un fronte e i gattopardi di un vecchio sistema sono tornati dietro le quinte».