Circa un mese fa, su queste stesse pagine, il collega avvocato, deputato di Azione ed ex viceministro della Giustizia Enrico Costa sollevava il problema del mancato rispetto della presunzione d’innocenza all’interno degli assetti giudiziari. Secondo l’onorevole Costa, il principio della presunzione d’innocenza verrebbe costantemente e sistematicamente compresso nonché, per certi versi, violato ogni qual volta venga strumentalizzata, quale oggetto di mediatizzazione, l’azione penale, anche tramite l’anticipazione di atti d’indagine o lo svolgimento di simulazione di processi in tv, esponendo inevitabilmente alla pubblica gogna persone innocenti, rectius, indiscutibilmente innocenti fino alla conclusione dei tre gradi di giudizio o della cosiddetta sentenza passata in giudicato.. O, almeno, così dovrebbe essere ai sensi dei codici sostanziale e di rito.

Nota è nel nostro Paese la tendenza a rendere i processi dei veri e propri spettacoli, lanciati in pasto alle opinioni della massa, a consulenti e periti che operano plastiche ricostruzioni e fingono conclusioni, calpestando ogni forma di diritto alla presunzione di innocenza. Ma simili violazioni avvengono in primis, e in maniera più distruttiva per la vita dell’indagato, quando il pubblico ministero tende a mediatizzare il procedimento di sua competenza, allorquando le parole spese dal medesimo dinanzi i microfoni attengono a tempi verbali propri dell’indicativo, più che del congiuntivo o condizionale. “Sono colpevoli di…” in luogo di “pare che siano colpevoli di…”. È vero che chi parla è un magistrato, ma non è il giudicante, viceversa una parte processuale che siede al lato opposto dell’avvocato, la difesa privata.

Il rimedio ipotizzato da Costa: la remissione del procedimento 

Costa evidenzia un problema, insomma, di cui non si può non condividere l’assunto. In particolare, nella summenzionata intervista, il deputato di Azione propone di introdurre un istituto, che egli stesso definisce “remissione”, con il quale il procedimento passa dal magistrato inquirente macchiatosi di eccessiva eco mediatica a un nuovo ufficio. L’istituto così definito è figlio di un legittimo spirito garantista che, come si evidenziava sopra, viene spesso calpestato. A questo punto però è necessario chiedersi come una cosiddetta “remissione” del magistrato inquirente possa funzionare e se, in concreto, siffatto istituto possa rivelarsi utile per l’indagato. A tal fine procederemo per step secondo quelli che sono i maggiori interrogativi che una simile riforma comporta.

La remissione interverrebbe solo nel caso di mediatizzazione del processo o ogniqualvolta ci sia un “calpestamento” della presunzione di innocenza? Probabilmente, sarebbe auspicabile una restrizione dell’ambito di applicazione alla sola mediatizzazione del procedimento o a poche altre evidenti e tassative ipotesi. La ratio è lapalissiana: ampliare eccessivamente l’ambito oggettivo di applicazione della remissione rischia di compromettere il carico per le autorità giudiziarie, le quali, già sufficientemente stressate, si ritroverebbero molto probabilmente invase di richieste di remissione del magistrato inquirente.

Per ovviare a ciò pare necessario che i confini dell’istituto ivi ipotizzato siano definiti con precisione chirurgica, non solo per quanto detto poc’anzi, ma anche e soprattutto perché non bisogna dimenticare come il pm sia un magistrato con il compito di rinvenire elementi tanto a carico quanto a discarico del prevenuto ( come la Costituzione insegna) e, ancor prima, la verità. Pertanto, così come un avvocato può essere convinto dell’innocenza del proprio assistito, parimenti il procuratore può essere altrettanto convinto della colpevolezza dello stesso, a volte innamorandosi del castello accusatorio al punto da poter manifestare in taluni ambiti simile convinzione, che, inevitabilmente, collide con la presunzione di innocenza. Pertanto, è auspicabile che solo laddove la violazione del diritto alla presunzione di innocenza sia manifestamente palese e manifestamente lesiva per il soggetto indagato/ imputato, intervenga l’istituto della remissione, e non già quando il pm eserciti l’azione penale senza aver realmente valutato tutte le circostanze.

Come potrebbe essere proposta ed esaminata l'istanza 

A questo punto è necessario domandarsi chi abbia la facoltà di azionare l’istituto della remissione. È pacifico affermare, senza eccessive elucubrazioni, che l’istituto possa essere fatto valere dal soggetto che vede lesa la propria presunzione di innocenza, ossia la persona indagata/ imputata, la quale, si ipotizza, potrebbe presentare una istanza dinanzi l’autorità procedente affinché questa si esprima nel merito dell’asserita lesione.

In ordine a quest’ultimo aspetto, al fine di non rallentare eccessivamente i procedimenti, è necessario che la questione attorno alla remissione si risolva in breve tempo, anche allo scopo di evitare distorsioni. A tal fine è possibile ipotizzare che, successivamente alla presentazione di una memoria ad hoc ad opera della difesa, l’organo giudicante procedente, esaminata la questione, si esprima sull’accoglibilità o meno, per poi rimandare eventualmente a una successiva udienza per la trattazione nel merito, sentendo le parti entro un termine di giorni dalla presentazione della richiesta.

Il vero interrogativo: a chi va trasferito il fascicolo?

In terzo luogo è necessario definire a chi il fascicolo debba tradursi. In ordine a quest’ultimo aspetto, infatti, le insidie non sono poche. Ipotizziamo infatti che, successivamente a un vittorioso esperimento di remissione, il fascicolo sia trasferito ad altro procuratore facente parte della stessa Procura, o della stessa area di competenza. Premesso che il trasferimento del fascicolo nell’ambito dello stesso Tribunale, e quindi Procura, è inevitabile e necessario, a maggior ragione se vi è già un giudice “precostituito per legge”, siffatto rimedio potrebbe finire per risultare del tutto sterile.

Si immagini la traduzione di un fascicolo dall’ufficio del procuratore Tizio a quello del procuratore Caio, suo vicino di stanza all’interno dello stesso Palazzo di Giustizia. È evidente che simile trasferimento, in simili casi, rischia di essere sostanzialmente inutile, soprattutto in quei Tribunali di piccole dimensioni in cui il numero di magistrati inquirenti si conta sulle dita di una mano, e laddove un cambio di paternità del fascicolo non garantisce in nessun modo un cambio di atteggiamento nei confronti della causa, visti gli inevitabili legami tra magistrati inquirenti. Pertanto, è nella sostanza utile un cambio formale di paternità del fascicolo? A parere di chi scrive la risposta deve trovare segno negativo, non garantendo simile traduzione del procedimento, oltre tutto, il rispetto di garanzie di innocenza che, in ogni caso, risulterebbero già violate e non più ripristinabili in forza della remissione.

È possibile trarre qualche spunto da un istituto già presente nel nostro ordinamento, che è la ricusazione del giudice. La ricusazione interviene in quelle situazioni in cui la presenza del soggetto giudicante è in una posizione tale che ne inficia irrimediabilmente la sua neutralità. In un istituto come quello ipotizzato, invece, la remissione interverrebbe solo una volta dimostrata la violazione del diritto alla presunzione di innocenza da parte del magistrato inquirente, rendendo del tutto vana una traduzione del fascicolo che interverrebbe solo ex post il fatto lesivo.

Insomma, posta in questi termini la remissione appare più come una “punizione” per il pm, che un vero rimedio di salvaguardia delle garanzie processuali e non può dirsi uno strumento veramente utile a cui far ricorso, dovendosi le soluzioni ricercare altrove, a maggior ragione se si considera che la contropartita si risolverebbe in un inevitabile appesantimento dei processi e non semplice modifica del codice di rito.