Il messaggio è duro. Ed è rabbioso. A tratti appare come la rabbia dolente di un padre che da anni assiste al processo (per ora tutto mediatico) al proprio figlio accusato di stupro. Uno stillicidio quotidiano con titoli sparati e foto impietose. «Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri tre ragazzi. Se fossero veri stupratori seriali li avrei portati io in galera a calci nel culo», ha infatti urlato nel suo breve video: un minuto, o poco più, di urla. Un flusso ininterrotto di accuse. È un dolore vero, quello del comico. Forse sguaiato e con tratti di insopportabile di misoginia. E un dolore che non ha tenuto conto di chi ha denunciato quella violenza. Ma tutto questo sarà esaminato in unaula di tribunale, non siamo qui a emettere sentenze. Anzi, è esattamente quello da cui dobbiamo tenerci alla larga. Qualcuno in queste ore ricorda a Grillo che lui e suo figlio stanno subendo lo stesso trattamento che i suoi militanti hanno riservato a decine, centinaia di persone indagate e processate a mezzo stampa. Potremmo ricordarglielo anche noi del Dubbio, ma sbaglieremmo perché ora Grillo è dallaltra parte della sbarra, dalla parte dellimputato. La vicenda del figlio di Grillo arriva pochi giorni dopo il tentato suicidio di Giovanna Boda, la dirigente del ministero dellIstruzione indagata per corruzione che si è gettata dallo studio del suo avvocato dopo aver visto altri titoloni e altre foto impietose di unindagine ancora in corso. Sono storie dolorosissime che ricordano a tutti noi quanto sia indispensabile e urgente che i giornalisti si tengano ben lontani dai magistrati. E viceversa. E forse, come qualcuno ha già detto, è questa la vera e più urgente separazione delle carriere che va realizzata.