Il ministro della Sanità Speranza era convinto che le riaperture avrebbero seguito l'agenda messa a punto dal suo ministero nei giorni scorsi: un percorso molto prudente e graduale, che si sarebbe dovuto avviare con l'apertura delle scuole il 3 maggio per poi passare ai ristoranti all'aperto ma solo a pranzo la settimana seguente, aspettando la metà di maggio per la cena e la fine del mese per palestre e piscine. Dalla riunione della cabina di regia è uscita una decisione molto diversa. Di fatto riapre tutto il 26 aprile. La gradualità resta, ma per tutto il resto. Alle fiere, per esempio, si arriverà solo a luglio. Ma il pacchetto che avrebbe dovuto essere centellinato a maggio arriverà tutto insieme il 26 aprile, con due sole eccezioni. Rinviato a settimana da destinarsi lo slittamento del coprifuoco dalle 22 alle 24 e incerta la data di riaperture di tavolini al chiuso nei bar e nei ristoranti. Dal punto di vista sanitario è un azzardo, come ha ammesso lo stesso Draghi definendolo «rischio ragionato». I dati sono positivi ma non brillanti. Il miglioramento c'è ma «non è drammatico», come ha detto ancora il presidente del consiglio. Ma soprattutto i dati in questione risalgono ancora alla fase in cui tutto il Paese o quasi era in zona rossa. Quelli della fase a prevalenza netta arancione arriveranno solo venerdì prossimo. Proprio quei dati avrebbe voluto attendere Speranza. Dal punto di vista politico la vittoria della Lega è netta e indiscutibile. Del resto bastava guardare l'espressione giuliva di Salvini nella conferenza stampa volante approntata a Milano in anticipo su quella di Draghi per sincerarsene. Il leghista si è persino lasciato sfuggire un «intanto portiamo a casa le riaperture» salvo correggersi in extremis con un inutile «volevo dire che il Paese porta a casa». L'assedio contro Speranza è fallito. Draghi lo ha voluto al suo fianco in conferenza stampa proprio per comunicare plasticamente la decisione di difenderlo. Ma la strategia per indebolire il ministro e intaccare a fondo la sua capacità di incidere a fondo sulle scelte del governo, quella ha invece centrato in pieno l'obiettivo. Probabilmente il fronte che si era saldato contro la linea della prudenza e del rigore di Speranza era troppo ampio e minaccioso perché il premier potesse ignorarlo. Non solo mezza maggioranza e la stragrande maggioranza dell'opposizione ma anche i giornali soprattutto locali, quelli più sensibili agli interessi delle fasce direttamente coinvolte dalle chiusure, e soprattutto le Regioni. La linea dei presidenti di Regione resta quella di Bonaccini, ma rinsaldata ed estremizzata dal subentro del leghista Fedriga. Senza contare l'elemento che probabilmente ha pesato più di ogni altro: la protesta di piazza, la paura di trovarsi alle prese con una crisi sociale ingovernabile .Non si tratta di un cambiamento di limitata importanza. Solo in due occasioni l'allora premier Conte si era opposto alla linea di Speranza, in entrambi i casi con conseguenze disastrose: all'inizio della pandemia, quando si trattava di dichiarare zona rossa la val Seriana e poi nel settembre scorso, quando l'esitazione nel prendere provvedimenti drastici fece perdere all'Italia il vantaggio di tre settimane rispetto al resto d'Europa di fronte alla seconda ondata del virus. La situazione è diversa. Stavolta Draghi può contare sulla vaccinazione, i cui frutti si vedranno presto, e sulla stagione, che permette di restare all'aperto molto più di quanto non fosse nelle due occasioni di cui sopra, la val Seriana in marzo, la seconda ondata in autunno. Il rischio è realmente ragionato, il che non equivale però del tutto a calcolato. In ogni caso la sterzata politica, salvo esiti negativi della scommessa fatta ieri da Draghi che nessuno si può augurare, sarà drastica. Sul fronte della pandemia la destra si è ripresa ieri il ruolo centrale nella maggioranza di cui aveva goduto nelle prime settimane di vita del governo Draghi e dal quale era stata poi scalzata.