I campanelli d'allarme hanno preso a suonare tutti insieme. Le manifestazioni di martedì scorso hanno senza dubbio registrato la presenza di gruppi politici che mirano a sfruttare il disagio sociale, ma è altrettanto fuor di dubbio che quel disagio esiste ed è reale, non frutto delle manovre di qualche gruppetto. Il dl Sostegni non è andato del tutto a segno e non poteva essere diversamente, dal momento che era stato pensato quando il governo allora in carica prevedeva l'avvio della ripresa in marzo o aprile. La dinamica di erogazione dei fondi, poi, ha sì allargato la platea ma ha lasciato a secco molti soprattutto nel settore della ristorazione e ha colpito soprattutto i tanti che avevano una parte di fatturato in nero. L'abolizione del credito d'imposta e il mancato supporto sulle spese fisse è stato probabilmente l'elemento più critico, perché aziende e soprattutto ristoratori si sono trovati senza utili ma con spese cospicue, soprattutto d'affitto, da pagare subito.

Lo sforzo ulteriore sarebbe stato certamente sopportato meglio di fronte a una campagna vaccini già ben avviata, che permettesse cioè di vedere la luce alla fine del tunnel. Così non è. La possibilità che aprile sia il mese della svolta non è svanita, resta l'obiettivo del governo. Ma non è neppure una certezza. Al contrario, la campagna continua a inciampare e gli ostacoli, sia quelli dovuti agli errori europei nei contratti per i vaccini sia quelli connessi al caos istituzionale tra governo centrale e regioni, non sono superabili in tempi brevi. Come se non bastasse si aggiunge un problema in più, evidenziato dai dati Istat diffusi martedì scorso. Se, nonostante il blocco dei licenziamenti, il numero dei disoccupati è aumentato nei termini di quasi un milione di unità, significa che senza un'entrata in funzione rapidissima dei progetti operativi del Pnrr, il Recovery Plan italiano, nel giro di pochi mesi la tensione sociale diventerà insopportabile e a farne le spese sarà il governo.

Con le dichiarazioni seguenti la visita in Libia, infine, Draghi è incappato nella prima vera gaffe della sua carriera di premier. È vero che di fronte alla necessità di contare sulla Guardia costiera libica per frenare le partenze e anche di fronte al miraggio di riconquistare sul fronte energetico la posizione di vantaggio persa con la sciagurata e autolesionista guerra contro Gheddafi nessun governo italiano si è mai preoccupato neanche un po’ dei decantato diritti umani. È vero che Conte, come premier del governo giallorosso, aveva trattato direttamente con il capo dei trafficanti, oltre che della Guardia costiera, di Tripoli a Roma. Ma i ringraziamenti rivolti a chi trascina i migranti in veri e propri lager ove i diritti umani sono del tutto ignorati è stato lo stesso un passo falso che potrebbe costare la prima vera divisione della maggioranza a sinistra quando si tratterà di discutere in Parlamento il rifinanziamento delle missioni all'estero.

Draghi insomma rischia e tra i leader che lo sostengono nessuno, neppure Salvini, è minacciato da un eventuale crollo dei consensi nei confronti del governo più dei due ex premier che si sono incontrati martedì scorso, Renzi e Letta. Il primo perché questo governo è frutto della sua manovra, il secondo perché ha spostato un Pd inizialmente molto più tiepido a sostegno di Draghi, con l'obiettivo dichiarato di fare del suo partito la principale colonna del governo.

La situazione, come spesso capita nella palude della politica italiana, ha un che di paradossale. Renzi, che come al solito gioca d'azzardo anche se stavolta i tempi sono più lunghi del solito, punta tutto su un fallimento di Letta, che nei suoi auspici dovrebbe derivare dalle prossime Amministrative, che in effetti costituiscono per il neo segretario del Pd un grosso rischio: se il Pd non arriverà neppure al ballottaggio a Roma e sarà sconfitto, nonostante l'alleanza con i 5S, a Torino il colpo sarà per Letta micidiale. Nulla indebolirebbe il leader del Pd più di un calo robusto dei consensi per il governo. Solo che in quel caso l'ex Rottamatore verrebbe travolto ancora prima della sua antica vittima. Entrambi insomma, quanto e più di Salvini, sono costretti a darsi da fare per sostenere il governo, sperare che riesca a uscire dal labirinto in cui si trova oggi e che tuttavia il successo del governo non rafforzi gli altri supporter. Perché dalla sconfitta di Draghi emergerebbero due soli vincitori, Meloni e Conte. Per tutti gli altri la sorte sarebbe quella dei polli di Renzo.