Riflettendo con il costituzionalista Giovanni Guzzetta, Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata, potremmo dire che la mia libertà di stampa finisce dove inizia la tua dignità di indagato. Lo spunto ci viene ancora dallo scandalo dei giornalisti intercettati dalla Procura di Trapani. Tanto scandalo, giustamente, per i giornalisti intercettati. Nulla quando ad esserlo sono gli avvocati che discutono con i loro assistiti. In Italia siamo abituati a fare discorsi molto ideologici. La questione in realtà è molto complessa e delicata in quanto non esistono diritti e pretese da tutelare in modo assoluto. Tutta la giurisprudenza, sia quella interna - Cassazione e Corte Costituzionale - , che quella sovranazionale  - Cedu e Corte di Giustizia - , sottolinea sempre il fatto che in queste materie è necessario un bilanciamento tra interessi. Quali sono gli interessi in gioco? C'è quello del giornalista al diritto di cronaca; quello dello Stato alla repressione dei reati, soprattutto di quelli gravi da cui deriva un forte interesse pubblico al loro contrasto; poi quello soggettivo alla riservatezza sia di coloro che sono interessati dall'attività giornalistica sia degli avvocati. Pertanto stracciarci le vesti in astratto rappresenta un esercizio ideologico. In concreto, invece, cosa possiamo dire? Spero che questa vicenda, i cui dettagli non sono ancora totalmente chiariti tanto è vero che è in corso un'ispezione da parte del Ministero della Giustizia,  possa costituire l'occasione per una riflessione meglio articolata più che per una reazione corporativa. Professore mi aiuti a capire: l'articolo 103 quinto comma del cpp vieta l'intercettazione tra avvocato e cliente. Non esiste una norma così chiara per i giornalisti. Per i giornalisti non esiste una disposizione in tal senso, per gli avvocati sì. Tuttavia la Cassazione ha messo in evidenza come anche nelle conversazioni tra avvocati e assistiti ciò che si tutela è il rapporto professionale con il cliente: in questo caso la registrazione dell'intercettazione andrebbe interrotta.  Mentre se i due discutono di qualcosa che esce dal perimetro di quel rapporto  e  quindi l'avvocato non sta svolgendo più il suo ruolo l'intercettazione sarebbe lecita. La stessa cosa vale per i giornalisti: pur non essendoci una disposizione specifica, esiste però una disciplina della tutela della fonte, ribadita da una sentenza della Cedu del 6 ottobre 2020 'Jecker contro Svizzera'. La Corte ha ribadito la fondamentale necessità di tutelare le fonti ma ha anche precisato che persino in quel caso, se sussistono degli interessi pubblici straordinariamente importanti e purché sia motivato, il divieto posto a tutela della segretezza della fonte può essere superato. Quindi il discorso è molto articolato. Certo e riguarda più soggetti. La disciplina delle intercettazioni nel nostro Paese è estremamente invasiva ed è stato fatta oggetto di numerose modifiche. La mia sensazione è che non abbiamo ancora raggiunto un equilibrio adeguato. Ci sono poi tutta una serie di problemi connessi, come l'utilizzazione dell'intercettazione per l'individuazione di reati diversi da quelli per la quale l'intercettazione era stata autorizzata. Aggiungo un altro problema: la pubblicazione delle intercettazioni sulla stampa, spesso prive di valore probatorio, aiutano a costruire il 'mostro' da prima pagina. Certamente la libertà di stampa è una delle più antiche e più importanti. Nello stesso tempo però essa non è assoluta e bisogna che accettiamo questo concetto. La libertà di stampa deve essere contemperata con altri interessi: il codice di procedura penale all'articolo 114 vieta la pubblicazione degli atti coperti da segreto. C'è anche l'articolo 684 del codice penale "Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale". Esatto. Il problema è che le sanzioni sono molte blande. Non escludo che ci siano stati dei casi in cui l'ammenda sia stata pagata e la notizia comunque pubblicata. Forse dovremmo sviluppare una sensibilità maggiore nei confronti dei limiti alla libertà di stampa nel suo proprio interesse. In che senso? Se la libertà di stampa diventa libertà di gogna prima o poi la categoria dei giornalisti subirà una reazione da parte dell'opinione pubblica. Su questo sono pessimista. E mi chiedo se siamo noi ad alimentare questo circo mediatico o è l'opinione pubblica che ci chiede di rafforzare un certo voyeurismo colpevolista. Probabilmente entrambi i fattori alimentano il fenomeno. Attenzione però: non dimentichiamo un'altra componente del complicato puzzle, ossia i settori della magistratura in cerca di pubblicità. Ultimamente è stato proprio il Ministro Cartabia a porre l'accento sul riserbo delle indagini preliminari per tutelare il principio di innocenza. Quindi il problema esiste ed è serio. Il problema è talmente evidente che noi nei fatti viviamo costantemente una elusione del principio della presunzione di non colpevolezza. La sanzione penale non è l'unica che un soggetto possa subire: c'è anche quella reputazionale e sociale. L'altro giorno l'ex magistrato Nello Rossi mi ha detto «ho partecipato a conferenze stampa, che ritengo siano fondamentali in presenza di misure cautelari, per spiegare le ragioni di tali provvedimenti». Credo che la magistratura possa spiegare la propria attività attraverso gli atti, senza una interlocuzione diretta con l'opinione pubblica. I giornalisti poi hanno tutto il diritto e dovere di dare le informazioni nei limiti dell'ordinamento, spesso superati in mancanza di adeguate sanzioni e imputazioni di responsabilità. Questo perché accade? A causa di questa ideologia assolutizzata del diritto di cronaca che dal punto di vista costituzionale non è corretta. Questo diritto, come quello di manifestare il  pensiero, subisce dei limiti nell'ordinamento. Non esistono diritti assoluti se non in qualche rarissimo caso, come la libertà d'arte. I diritti incontrano dei limiti: il problema non è di stabilire questi ultimi ma di renderli cogenti nell'interesse di tutti, altrimenti si passa dall'ordinamento al far west.