«Nessuno può fermare la verità dei fatti. Il 3 maggio del 2019 mi è stato inoculato un trojan che ha intercettato una cena presso lhotel Champagne durante la quale si discuteva della successione di Pignatone alla Procura di Roma, cena svoltasi con le medesime modalità e con gli stessi protagonisti che avevano portato alla elezione dellattuale vice-presidente del Csm Davide Ermini. 11 29 maggio del 2019 i due principali quotidiani nazionali pubblicavano il contenuto delle registrazioni effettuate con il trojan e da quel momento una parte della magistratura ha voluto in maniera ipocrita considerarmi il capro espiatorio da immolare sullaltare della continuità e della conservazione». A dirlo è lex presidente dellAnm Luca Palamara in unintervista su Il Tempo. «Lo strumento del trojan - dice Palamara - usato per figure istituzionali è un punto di non ritorno. Soprattutto quando viene azionato ad intermittenza... Interessante sarebbe domandarsi e magari avere una risposta verosimile come mai la cena del 9 maggio il trojan rimase in silenzio quando eravamo insieme con Pignatone. Oggi faccio parte della commissione giustizia del Partito Radicale - spiega - Come venivano gestiti gli incarichi tra magistrati? È un meccanismo al quale hanno partecipato tutti gli aderenti alle correnti e sarebbe bello che a raccontare come funzionava il do ut des, non fossi solo io ma i diretti interessati a prescindere dalle chat contenute nel mio telefono». «Sono stato radiato per aver partecipato a questo incontro, senza avere la possibilità di audire i testimoni e per questo motivo ho fatto ricorso alle Sezioni Unite civili della Cassazione. Il ricorso verrà discusso il prossimo 8 giugno. Chi avrebbe voluto allontanare lo spettro della riforma della giustizia ha fatto di tutto perché fossi io a dimettermi, invece ho accettato la sfida per affermare la verità e non mi sono dimesso. Ma la falla era così grande che uno spiraglio è rimasto aperto e da lista cominciando finalmente ad uscire la verità», prosegue l'ex capo dell'Anm. Palamara affronta poi il tema delle possibili querele nei suoi confronti. «Penso che costituiranno l'occasione per chiarire davanti ai giudici e all'opinione pubblica come realmente ha funzionato il meccanismo delle correnti - sostiene - In ogni caso voglio rassicurare che il mio racconto altro non costituisce che il mio punto di vista suffragato da chat, documenti e testimoni sulle modalità del conferimento degli incarichi all'interno della magistratura. Il caso Salvini si inserisce in questo contesto. In realtà la chat divulgata - e sarebbe interessante capire l'uso pubblico che è stato fatto del mio cellulare finito in troppe redazioni di giornali - era una conversazione informale e del tutto privata tra me e un collega nella quale ammettevo candidamente che la logica di corrente e di appartenenza aveva Salvini come nemico». «Sento il peso - dice infine Plamara - di aver trasformato il tema della giustizia in un argomento di discussione di massa. La mia battaglia di verità non è fatta contro qualcuno ma ha lobiettivo di squarciare il velo di ipocrisia che allinterno della magistratura esiste pretendendo di processare Palamara ed i suoi amici sulla base di chat private. Io voglio porre un tema di riflessione sullo sconfinamento della magistratura e sulluso strumentale dei processi».