C’è una nuova generazione sotto il cielo del Kosovo che si fa strada tra le macerie di un passato ingombrante. A segnare il passo è il trionfo di Vjosa Osmani: 38 anni, donna, giurista, la neo eletta presidente della Repubblica ha già fama di rottamatrice. «Prometto di rafforzare lo Stato, lo Stato di diritto», commenta a caldo dopo l’elezione del 4 aprile in Parlamento. «Giustizia, lavoro e vaccini», è la formula chiave che l'ha portata al successo negli ultimi mesi. La sua vittoria in verità non era scontata. Ci sono voluti due scrutini conclusi a vuoto e infine, al terzo giro, 71 voti a favore su 120 parlamentari che compongono la legislatura kosovara. Favorita da giovani e donne, dallo scorso novembre Osmani svolge funzioni di capo dello Stato dopo che Hashim Thaci, di cui prende il posto, è stato ufficialmente accusato dal tribunale speciale dell’Aja di crimini di guerra in relazione al suo operato nell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). È la seconda donna a ricoprire il ruolo dopo Atifete Jahjaga, in carica dal 2011 al 2016. Si annuncia come la «presidente di tutti». Ma dagli scranni del parlamento parla soprattutto alle donne: «Continuate a crederci e a battervi, continuare a lottare per il cambiamento e l’uguaglianza. Insieme costruiremo un futuro migliore». Dopotutto, dice Osmani, i kosovari hanno mostrato «non solo di essere pronti a una donna presidente, ma ne hanno anche eletta una».La svolta politica risale a due anni fa. Militante della Lega democratica del Kosovo (Ldk), di stampo conservatore, corre per la carica di primo ministro alle elezioni del 2019. Poco dopo lascia il partito per fondarne uno tutto suo, Guxo, e si coalizza con la formazione dell’attuale primo ministro Albin Kurti, Vetëvendosje! (in lingua albanese “Movimento per l'Autodeterminazione”). Già presidente del Parlamento, subisce insulti e intimidazioni dai suoi colleghi. Un video circolato online la ritrae mentre dà del filo da torcere a un deputato che l’aveva presa di mira in Aula. «È in quel momento, guardando il video, che ho capito che poteva difendere sé stessa, farsi rispettare. E che per noi donne le cose potevano cambiare», aveva commentato in quell’occasione l’antropologa Elife Krasniqi sul New York Times. Le elezioni parlamentari dello scorso febbraio segnano il primo grande successo: la sua lista ottiene sette seggi, per la prima volta le donne occupano un terzo del Parlamento. Le ministre donne del nuovo governo sono 6 su 15. Osmani diventa fonte d’ispirazione, è il volto di un nuovo potere femminile che dopo «secoli di cultura patriarcale» riesce finalmente ad affermarsi. Parla cinque lingue - albanese, inglese, serbo, turco e spagnolo - insegna diritto internazionale all’Università, ed è mamma di due gemelle. Inizia i suoi studi in giurisprudenza a Pristina, capitale del Kosovo, e li conclude all’Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, Stati Uniti, con un dottorato in legge. Racconta di trovarsi «più a suo agio con la vita occidentale» e di essere «stufa del nepotismo e della scarsa efficienza dei partiti tradizionali». Promette di stanare la corruzione e di chiudere definitivamente con la vecchia classe dirigente in nome di quella generazione di trentenni che fiorisce a Pristina e che i giornali stranieri già battezzano come new wave. Osmani è giovane e carismatica. Proprio come il paese che rappresenta, il Kosovo, dove circa il 50 per cento degli abitanti ha meno di 25 anni. Ma il suo mandato sarà tutt'altro che facile. Quello di cui si trova a capo è infatti un paese affossato da povertà e disoccupazione, e stremato ancora di più dalla pandemia. Per rimetterlo in piedi serve «giustizia e impiego», promette ancora Osmani. In merito ai rapporti con Belgrado, la nuova presidente assicura di voler aprire al dialogo, ma allo stesso tempo chiarisce: «La pace non sarà possibile finché la Serbia non avrà reso le sue scuse per i crimini commessi e avremo ottenuto giustizia per coloro che ne hanno sofferto». Osmani, come tanti altri a Pristina, deve saperne qualcosa. Soprattutto se, come scrive il New York Times, quando lascia il Paese per la prima volta nel 1999 la sua famiglia è in fuga dalle “operazioni” di pulizia etnica che costrinsero all’esodo i kosovari albanesi. Lungo il viaggio, scrive ancora il New York Times, i soldati serbi le puntano una pistola alla tempia. Un trauma, racconta oggi Osmani, che «ha toccato ogni famiglia in Kosovo».