Il diritto allo studio al 41 bis va in ogni caso tutelato, ma è giusto che ci siano le limitazioni giustificate dal particolare regime cui il detenuto è sottoposto. È questa la conclusione alla quale è giunta la sentenza numero 12199 della Corte di Cassazione. È accaduto che il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila ha respinto il reclamo proposto dal detenuto Natale Dantese in opposizione al provvedimento dell'8 maggio del 2019 con il quale il Magistrato di sorveglianza della sede aveva rigettato il reclamo formulato dal detenuto al 41 bis mirante ad ottenere cinque autorizzazioni: quella di iscriversi presso un istituto scolastico superiore di Ragioneria; che l'Amministrazione penitenziaria provvedesse alla fornitura dei libri di testo necessari; che l'Amministrazione consentisse l'accesso al carcere di un insegnante almeno due volte alla settimana per assisterlo nel percorso di studio; in subordine, che gli venisse consentito per due volte alla settimana di collegarsi attraverso la rete internet con un insegnante e che le ore di sostegno scolastico non gli venissero decurtate dalle ore di socialità o di aria. Il Tribunale di sorveglianza ha però escluso che potesse ravvisarsi, in danno del reclamante, un pregiudizio grave e attuale all'esercizio del diritto allo studio al 41 bis e alla formazione. In particolare ha desunto che al detenuto non era preclusa la possibilità di iscriversi a un corso di scuola media superiore, che poteva aver luogo con l'unica limitazione dell'obbligo d'iscrizione nell'istituto scolastico più vicino al luogo di detenzione. Inoltre ha osservato che il detenuto poteva anche fruire degli strumenti informatici necessari per lo studio e per la preparazione degli esami a conclusione del percorso. Non solo. Che il diritto allo studio al 41 bis non poteva dirsi violato dal diniego opposto dall'Amministrazione alla richiesta della fornitura gratuita dei libri di testo, atteso che la legge penitenziaria non prevedeva tale possibilità, ma contemplava dei sussidi e dei premi che potevano essere erogati ai detenuti in presenza di determinati presupposti, in particolare, nel caso in cui essi versassero in condizioni di indigenza. Come se non bastasse, il giudice ha sottolineato che, per quanto concerneva l'ingresso in maniera costante nell'istituto di pena di un insegnante o, comunque, l'utilizzo del sistema Skype per il sostegno scolastico, trattavasi di modalità non previste dalla normativa penitenziaria, anche per intuibili esigenze di sicurezza, atteso che concretizzavano un elevato rischio di veicolazione di messaggi da o verso l'esterno. In conclusione, il Tribunale condivideva il tenore del provvedimento reclamato, affermando che il diritto allo studio del detenuto, garantito da norme di legge nazionali e sovranazionali, doveva essere necessariamente contemperato con le esigenze di ordine e di sicurezza sottese al 41 bis., con la conseguenza che non era individuabile alcuna lesione grave ed attuale del diritto allo studio al 41 bis e alla formazione. Il detenuto ha fatto quindi ricorso in Cassazione. Ad avviso della difesa ricorrente, i giudici di merito non avevano risposto alla prospettata circostanza di essersi la Caritas di Pescara resa disponibile a fornire al detenuto l'aiuto economico necessario all'acquisto dei libri di testo. Non solo. Secondo la difesa, considerate le rigide modalità dei colloqui visivi con vetro divisorio e registrazione audio-video e tenuto conto dell'utilizzo consolidato di video conferenza anche a mezzo Skype per le udienze con la partecipazione dei detenuti sottoposti al 41 bis, vietare al Dantese di incontrarsi con un insegnante-tutor appariva una misura ingiustificata e lesiva del suo diritto allo studio e alla formazione. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. Sottolineando, nello stesso tempo, che il diritto allo studio resta, in ogni caso, tutelato, seppure con le inevitabili limitazioni giustificate dal particolare regime del 41 bis cui egli è sottoposto, e che attengono esclusivamente a determinate modalità di esercizio del diritto stesso.