«Il ministro della Cultura Dario Franceschini ha abolito la censura cinematografica in Italia. Un grande passo avanti per la libertà di pensiero e per il mondo degli artisti, ma occorre riflettere sui meccanismi di censura "indiretta" che ancora permangono nel nostro Paese». A dirlo è lo storico e intellettuale Daniele Radini Tedeschi a proposito del decreto firmato ieri da Franceschini che di fatto «abolisce definitivamente» la censura nel cinema. «L’approvazione del decreto, che tra l’altro formalizza quanto già scritto nell’art.21 della Costituzione, assume una grande importanza in questo momento storico così difficile per gli operatori del cinema e gli artisti – aggiunge Radini Tedeschi – ma tuttavia si dovrebbe riflettere anche su una forma di censura "insidiosa" che si potrebbe manifestare quando discrezionalmente la Commissione per la Cinematografia eroga finanziamenti attinti dal Fus per le pellicole in uscita riconosciute di "interesse culturale"». Una discrezionalità, spiega lo storico, che si potrebbe «tradurre in discriminazione quando un film non viene sovvenzionato per diverse ragioni: politiche, come fu per Squitieri, giudicato un regista non allineato al politicamente corretto, o pellicole di carattere storico, contrarie al "pensiero unico"; infine, per possibili ragioni clientelari basate sui rapporti tra politica e fruitori dei fondi. Perché l’ostracismo diventa spesso la vera censura». «L’attuale sistema di finanziamento - conclude Radini Tedeschi  - determinato dalla suddivisione secondo criteri a volte non del tutto oggettivi delle risorse presenti nel Fondo Unico per lo Spettacolo, potrebbe limitare ancora lo sviluppo di nuovi progetti realmente meritevoli. Servirebbe quindi anche una riforma del sistema di finanziamento che rimetta al centro la qualità dei progetti artistici».