L’alienazione parentale, come il plagio, è incostituzionale. È quanto emerge tra le righe della requisitoria della sostituta procuratrice generale della Cassazione Francesca Ceroni, che nel chiedere l’annullamento di una sentenza della Corte d’Appello di Roma, che imponeva il collocamento in una casa famiglia di un bambino vietando ogni contatto con la madre, ha fortemente criticato la teoria. Recentemente, anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha escluso la Pas dall’elenco delle patologie riconosciute, così come non trova posto all’interno del Dsm 5, il manuale diagnostico utilizzato da psichiatri e psicologi di tutto il mondo.   Formalmente, dunque, non esiste. Ma, ha denunciato recentemente Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno del femminicidio, tale argomento viene spesso utilizzato in tribunale per ridurre la violenza tra le mura familiari a semplice conflitto tra genitori, con conseguenze dannose per donne e bambini. Opinione diametralmente opposta a quella del senatore leghista Simone Pillon, autore di un ddl “in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, basato proprio sulla teoria della “alienazione genitoriale”, formulata dallo psichiatra forense Richard Gardner, accusato di appoggio alla pedofilia.   La requisitoria di Ceroni, ora, avvalora la tesi di Valente. Stigmatizzando fortemente il comportamento dei giudici d’appello di Roma, che non avrebbero minimamente tenuto in considerazione, nel caso in questione, le dichiarazioni fatte dal bambino ai carabinieri circa le violenze subito dal padre. Il bambino ha infatti dichiarato di «essere stato picchiato più volte», con schiaffi e pugni, specie quando dichiarava di voler raccontare alla madre quanto accadeva col padre. Il principio di bigenitorialità, afferma la magistrata, non ha dignità costituzionale. Al primo posto, in ogni caso, c’è e ci deve essere sempre il supremo interesse del minore. Qualsiasi diritto del genitore, dunque, cede il passo al diritto fondamentale del bambino all’integrità fisica e alla sicurezza.  

Leggi anche: Violenza domestica, allarme di Valente (Pd): «Giusta la stretta del Viminale»

  Argomento, questo, sul quale «i giudici di merito omettono qualsiasi accertamento e valutazione». Anzi, gli stessi non indicano alcun fatto o circostanza per argomentare la tesi secondo cui la madre rappresenterebbe un rischio per il bambino, parlando, genericamente, di «eccessivo invischiamento» e «rapporto fusionale», argomenti senza «base oggettiva o scientifica», ma frutto di una mera valutazione soggettiva. Si tratta, dunque, di un pregiudizio, sulla cui base si accusa la madre di «verosimili problematiche di personalità (...) gravemente inficianti la genitorialità», nonostante il bambino non soffra di alcun disturbo della personalità. I giudici di merito sono però convinti che la madre abbia «indotto al convincimento che l’interazione con un genitore (la madre) dovesse determinare l’esclusione dell’altro e del di lui ramo familiare».   Ma nessuna verifica è stata fatta sull’effettivo tentativo di allontanare il minore dal padre, né sono state tenute in considerazioni le ragioni del suo rifiuto a stare con lui, ragioni che emergono chiaramente dalle annotazioni dei carabinieri. Per Ceroni, la decisione «viola il diritto del fanciullo a mantenere la continuità affettiva e di cura con la madre» e quello al mantenimento dell’habitat domestico. Decisione assunta in violazione alla Convenzione di Istanbul - recentemente tornata alla ribalta per il ritiro della Turchia dalla stessa -, secondo la quale l’affidamento condiviso va escluso nel caso in cui emergano casi di violenza, così come ogni contatto con l’autore stesso delle violenze. «La Corte - continua la requisitoria - non ha neppure riportato in modo sintetico i bisogni, le opinioni, le aspirazioni espressi dal minore», basandosi, probabilmente, sull’idea di una «totale adesione» del bambino al pensiero della madre. E qui, citando l’incostituzionalità del plagio, Ceroni ricorda che affinché una norma possa essere determinata la stessa deve regolare un fenomeno «effettivamente accertabile dall’interprete in base a criteri razionalmente ammissibili allo stato della scienza e dell’esperienza attuale». Cosa che, nel caso della Pas, non avviene. «Solo condizionamenti accertabili su un piano scientifico a partire da comportamenti concretamente posti in essere possono costituire la ragione per confinare nell’irrilevante giuridico la volontà chiaramente e consapevolmente espressa dal minore, che il diritto vivente vuole al centro di ogni decisione che lo riguardi», conclude la requisitoria.