«I piani di vaccinazione, eventualmente affidati a presidi regionali, devono svolgersi secondo i criteri nazionali che la normativa statale abbia fissato per contrastare la pandemia». È uno dei punti chiave, ed è forse il più drammaticamente attuale, nelle motivazioni (depositate ieri) della sentenza con cui lo scorso 24 febbraio la Consulta ha accolto il ricorso dello Stato contro la legge regionale della Valle d’Aosta relativa alle misure anti contagio. La pronuncia (relatore Augusto Barbera) della Corte presieduta dal Giancarlo Coraggio è un in realtà un architrave decisivo nella definizione dei limiti che le Regioni devono rispettare nelle misure relative alla pandemia.

«A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, “ragioni logiche, prima che giuridiche” radicano nell’ordinamento costituzionale l’esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute». È questo il principio di base che ha spinto la Consulta a dichiarare parzialmente illegittima la legge valdostana (la numero 19 del 2020). Normativa di cui la Corte lascia in piedi solo le «disposizioni con le quali la legge impugnata ha introdotto misure di contrasto all’epidemia differenti da quelle previste dalla normativa statale».

Devono dunque restare disciplinate dalla legge nazionale «non soltanto le misure di quarantena e le ulteriori restrizioni imposte alle attività quotidiane, ma anche l’approccio terapeutico, i criteri e le modalità di rilevamento del contagio» e ancora «l’approvvigionamento di farmaci e vaccini, nonché i piani per la somministrazione di questi ultimi, e così via».

Nelle motivazioni ci sono risvolti di grande interesse anche in relazione alla sostenibilità del dpcm quale forma legislativa adottata per «adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire». Anche se non era in discussione la «legittimità» dei decreti presidenziali, la Corte ha modo di definire «consona» la scelta di «attivare un percorso di leale collaborazione col sistema regionale, prevedendo che i dpcm siano preceduti, a seconda degli interessi coinvolti, dal parere dei presidenti delle Regioni o da quello del presidente della Conferenza delle Regioni».