A due anni dal trionfo alle primarie, Nicola Zingaretti getta la spugna e si dimette da segretario del Partito democratico. Almeno per ora. Accerchiato e impallinato dalle correnti - minoranza nel partito, maggioranza tra i Gruppi parlamentari - il numero uno del Nazareno saluta la carica politica con un lungo sfogo su Facebook. «Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, cè il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni», scrive Zingaretti, pensando alle accuse piovute addosso alla sua leadership dal versante renziano. Sì, perché non tutti gli ammiratori dellex premier non hanno fatto i bagagli al momento della scissione di Italia viva, in tanti sono rimasti tra i dem per condizionare la linea politica e impedire un eccessivo spostamento a sinistra del partito. E sono parecchie le sfumature del renzismo ancora presenti nel Pd. La più definita è Base riformista, la corrente capitanata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti, che soprattutto nelle ultime settimane ha tirato fuori lartiglieria pesante contro il segretario. Complice la fine del governo Conte, sgambettato proprio da Italia viva, la linea zingarettiana del dialogo costante col Movimento 5 Stelle è finita nel mirino delle minoranze interne, compatte nellaccusare il capo di arrendevolezza nei confronti delluniverso grillino. E in un Pd lacerato tra gli organismi, saldamente in mano a Zingaretti, e i parlamentari, inseriti in lista nel 2018 dallallora segretario Renzi, il conflitto non poteva che deflagrare in maniera violenta.«Visto che il bersaglio sono io, per amore dellItalia e del partito, non mi resta che fare lennesimo atto per sbloccare la situazione», scrive il segretario su Facebook . «Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. LAssemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili», aggiunge Zingaretti, che però si congeda da elettori e militanti con un «a presto» sibillino. Sono in tanti infatti a credere che quello del segretario dem sia tuttaltro che un addio. Una mossa pokeristica, più che altro, per rilanciare la propria leadership e mettere in difficoltà lopposizione interna. Lobiettivo, infatti, sarebbe quello di arrivare allassemblea nazionale del partito, fissata per il 13 e il 14 marzo, e ribaltare la situazione, magari con una richiesta corale di ripensamento. Se così fosse, sarebbe la personale mossa del cavallo di Zingaretti che impedirebbe alle minoranze di tornare alla carica con la richiesta di un congresso anticipato. Certo, non sarebbe la fine della guerra di logoramento portata avanti dai renziani, ma sarebbe un fondamentale punto a favore dellinquilino del Nazareno che consoliderebbe segreteria e linea politica. Lalzata di scudi a tutela di Zingaretti, in effetti, scatta immediatamente. Basta dare unocchiata alle agenzie per rimanere sommersi da una valanga di richieste di conferma del segretario in assemblea nazionale. Tutti invocano un ripensamento di «Nicola» e si sprecano gli appelli allunità. «Abbiamo sulle spalle non solo il destino del Pd ma una responsabilità più grande nei confronti di un Paese in piena pandemia», commenta a caldo Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali e leader di Areadem, una delle correnti alleate del segretario. «Il gesto di Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida», dice il ministro. Ma anche il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, si augura che il leader «rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada». E unaltra ex renziana come Anna Ascani, nel frattempo diventata leale sostenitrice di Zingaretti si augura «che lAssemblea nazionale possa convincerlo a rimanere segretario». Tocca invece a Francesco Boccia ricordare come «grazia alla sua guida il Pd è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia. L'assemblea lo confermi». A questi commenti, ovviamente, bisogna aggiungere la valanga di messaggi solidali piovuti dallala ortodossa dello zingarettismo. Fuori dal partito, interviene anche lex premier Giuseppe Conte, che proprio giocando di sponda con Zingaretti aveva immaginato un futuro radioso per lalleanza giallo-rossa. «Ho avuto la possibilità di confrontarmi con lui molto spesso, in particolare dopo lo scoppio della pandemia», dice il quasi leader pentastellato. «Ho così conosciuto e apprezzato un leader solido e leale, che è riuscito a condividere, anche nei passaggi più critici, la visione del bene superiore della collettività» E persino Di Maio e Crimi spendono parole di stima per il segretario dem.Gli unici a tacere sono gli esponenti di Base riformista - fatta eccezione per Guerini - ma non è un mistero che gli esponenti di spicco della corrente, assieme ai sindaci Giorgio Gori e Dario Nardella, guardino al governatore dellEmilia Romagna, Stefano Bonaccini, come al candidato ideale alla guida del partito. Ora toccherà lassemblea dissolvere la nebbia e regolare i conti interni. Sempre che il Pd ne esca intatto.